Il vero mistero dei misteri di Dongo
Compie 80 anni un grande enigma italiano: quello della fine di Mussolini. Tanti i punti interrogativi ancora in piedi. Ma la domanda delle domande è: perché non ci si documenta prima di affrontarli?
Buon sabato a tutti. Questa è la puntata #7 di “È la Storia Bellezza” la newsletter settimanale dove si intrecciano attualità e Storia. Poiché sono giorni di anniversari - anche se l’80mo di qualcosa mi è sempre sembrata un po’ una forzatura… - ho scelto di concentrarmi sull’epilogo della Guerra civile e cioè le drammatiche e controverse circostanze che hanno segnato la fine di Mussolini e della Repubblica Sociale Italiana. Tema sul quale sembra che da decenni si concentrino soprattutto le attenzioni di sordi e cechi. Infatti, gran parte di chi si è occupato di quei fatti ha regolarmente trascurato le tante notizie e prove emerse nel tempo. Facendo un brutto servizio alla Storia. Che infatti, come cerco di spiegare, anche su questo fronte, non gode di buona salute. Sarà bello sapere che ne pensate: i modi per intervenire li trovate più sotto. Buona lettura e a sabato prossimo.
Se c’è un mistero storico per eccellenza credo che non possa essere che quello degli ultimi tre giorni di vita di Benito Mussolini: tra il pomeriggio del 25 aprile e quello del 28 aprile 1945. Da quando cioè il dittatore lascia la Prefettura di Milano per recarsi nel vicino Arcivescovado a quando lo ritroviamo, cadavere, davanti al cancello di una villa a Giulino di Mezzegra, sul Lago di Como. Sullo sfondo della fine della Seconda guerra mondiale e della Guerra civile, caratteristica di quelle ore concitate, ancora in parte oscure, è che il “mistero di Dongo” si alimenta di tanti misteri, frutto di piani, fallimenti, bugie e omissioni dei molti attori in campo. Ma il vero mistero è però un altro: come sia possibile che se ne parli così spesso a sproposito - quasi si sia sempre all’anno zero delle conoscenze - senza mai tener conto di tutto quello che negli anni è emerso di certo o, comunque, di attendibile.
Le parti in campo erano, formalmente, almeno quattro: c’erano, ovviamente, i fascisti e i tedeschi, poi i partigiani e gli anglo-americani. Ma si trattava di schieramenti tutt’altro che omogenei e concordi al loro interno. La conseguenza è stata una confusione di azioni contrastanti, concentrate in poche ore e in un’area di pochi chilometri quadrati. Da qui, il problema per chi ha provato a mettere ordine in una massa enorme di informazioni, spesso tutt’altro che affidabili. Inoltre, fatto singolare, è anche mancata negli anni completamente da parte dello Stato italiano una qualunque inchiesta ufficiale che chiarisse le circostanze che hanno portato alla soppressione di un protagonista della storia del XX secolo, alla dispersione di importanti documenti di Stato e alla scomparsa di valori per un ammontare che, ai valori attuali, può essere stimato in oltre 350 milioni di euro. Il cosiddetto “Processo per l’Oro di Dongo”, iniziato nell’aprile 1957 a Padova, come è noto, si arenò pochi mesi dopo e non venne più ripreso… E così, in assenza sia di una “verità ufficiale” che di una “verità giudiziaria”, la Storia ha dovuto fare tutto da sola. Con risultati non brillantissimi.
L’enigma degli ultimi giorni di Mussolini sconta un doppio handicap: una sovraesposizione giornalistica e una sottovalutazione storiografica. Due fenomeni che si sono alimentati reciprocamente. Più il giornalismo se ne occupava, più la storiografia se ne allontanava ostentando una non curanza per l’argomento che in realtà celava, e cela, anche altro: in primis dover andar contro la versione dominante che è quella dettata, già a caldo, dal Partito comunista. In secondo luogo, dover mettere le mani dove già le hanno messe - spesso trovando notizie importanti, sovente comportandosi da pasticcioni superficiali - i tanto disprezzati giornalisti. In terzo luogo, molti storici si son tenuti lontano da un argomento dove “manca” quasi del tutto la “materia prima” della ricerca storica e cioè i documenti. Come ha osservato tempo fa Franco Bandini, un giornalista che dava (e ha dato) delle piste a molti storici accademici, quello del “dongologo” è lavoro da certosini: «Le persone che seppero almeno una parte, spesso microscopica della verità, erano molto numerose, anche se non sospettavano di essere le depositarie di quel piccolo frammento. La maggior fatica è appunto consistita nel riunire queste minuscole tessere, finché il quadro è stato completo: o almeno, intelligibile…».
Non tutti i giornalisti, nel tempo, hanno avuto lo scrupolo e l’acribia di Bandini: dagli anni Quaranta si è sviluppata una serie infinita di articoli, interviste, reportage, a volte anche di valore, ma che quasi mai han potuto o saputo inserire la notizia di turno nel suo contesto. Il risultato è paradossale: molte informazioni sono state trascurate o “dimenticate”, anche per decenni, a vantaggio di ricostruzioni pigre e superficiali o, più di rado, influenzate dall’ansia di seguire lo scoop del momento – quasi sempre una testimonianza “inedita” – che per essere valorizzato ha bisogno di lasciare poco spazio alla contestualizzazione e, quindi, ad eventuali elementi dissonanti.
Il sedimentarsi nel tempo di una enorme e confusa massa di elementi – non di rado in contrasto tra loro – ha fatto sì che gli storici si tenessero a debita distanza da un argomento complesso, inflazionato mediaticamente e, oltretutto, carico di una forte valenza politica. Impauriti e infastiditi da un terreno infido per troppi motivi, gli storici han finito per disertare in massa l’argomento. Anche l’uomo delle certezze assolute in tema di Fascismo e Mussolini, Antonio Scurati, mitologicamente metà romanziere e metà “storico”, di fronte all’enigma della morte del suo M. ha fatto un passo indietro, evitando di raccontarla nell’ultimo volume della sua saga sul “figlio del secolo”: «La morte - ha scritto - è forse l’unica grande scena della sua vita su cui non c’è certezza». Paradossalmente, l’unico accademico che si è addentrato in quel dedalo è stato il maggior storico del Fascismo, Renzo De Felice, morto però prima di poter pubblicare il frutto delle sue ricerche. Tuttavia, De Felice aveva fatto in tempo a dire che le sue ricerche lo stavano portando a conclusioni ben lontane dalla versione mainstream.
Si anche a De Felice uno dei più comuni refrain sui fatti di Dongo e dintorni: e cioè che, in fondo, le vicende che portarono alla morte del dittatore non abbiano un grande interesse storico: «Scoprire se il grilletto l’ha tirato Tizio o Sempronio, se è stato fucilato davanti al famoso cancello di Mezzegra o ucciso in Casa De Maria - molti si meraviglieranno - a me importa poco. La morte non è stata la cosa più importante della vita di Mussolini» (Cfr. “Rosso e Nero”, p. 146). Ovviamente, “non essere la cosa più importante” non è come dire “la cosa meno importante” anche se per molti le parole di De Felice - che non a caso dedicò molto tempo all’argomento - vanno intese in questo modo. Si spiega così la disarmante approssimazione con cui vari storici, anche rinomati, hanno affrontato, anche di recente, questo tema, uniformandosi alla formuletta standard: “pur con tutte le sue pecche la versione fornita dal PCI già a ridosso dei fatti è comunque la più attendibile”. Che poi la logica e riscontri portino altrove è un “dettaglio”…
A questo tipo di obbiezioni, dure a morire, aveva risposto già alla fine degli anni Settanta sempre Bandini: «Dovremmo partire dalla verità e poi concludere, se interessa o no, se ha valore o no: per trent'anni invece è accaduto il contrario, si è detto - subito e dopo - che non valeva la pena cercare la verità, perché, qualunque essa fosse, non avrebbe spostato di un millimetro il semplice fatto che Mussolini era morto, e ben morto. Straordinaria retroversione mentale, cieca e sorda di fronte all’unico obiettivo della ricerca storica sulla vicenda umana, che è l’appurare, il “come” dei fatti, il portare alla luce i loro nessi segreti, i mille piccoli ruscelli che compongono e generano il grande fiume degli avvenimenti». Ma si è andati anche oltre: ad esempio - maltrattando la logica - accusando di improbabili apologie quanti vogliono “andare a fondo” alla questione: «Il problema è che i responsabili dell’uccisione di Mussolini non furono immediatamente chiari su come andarono le cose: questo ha dato modo, soprattutto a negazionisti ed ex fascisti, di creare miti e contraddizioni sulla morte del duce, per difendere la sua immagine e il retaggio storico del fascismo» (Copyright Amedeo Osti Guerrazzi, “Focus” n. 202, luglio/agosto 2023). Cosa c’entri il giudizio storico su un uomo e sul suo governo col fatto che possa essere morto in un posto piuttosto che in un altro, in un certo momento o qualche ora dopo, è uno dei tanti misteri di Dongo… E che le versioni alternative si basino solo ed esclusivamente su testimonianze di partigiani e che il ruolo di “giustiziere” impersonato da Walter Audisio, il colonnello Valerio, sia stato sconfessato nettamente da personaggi del calibro di Palmiro Togliatti o Sandro Pertini non deve avere evidentemente molta importanza per certi storici…
Negli anni sono usciti alcuni libri e studi importanti ma manca a tutt’oggi un’opera organica che organizzi tutte le informazioni dando loro un senso (quando ce l’hanno) e un’interpretazione storica fondata. In attesa che arrivi (tempo qualche mese, spero… ) è però possibile fissare alcuni punti fermi: ad esempio distinguere tra le ore in cui Mussolini è libero di agire e quelle che lo vedono invece prigioniero, in balia di forze contrapposte. In entrambi i casi i protagonisti si sono mossi seguendo piani e obbiettivi che si sono rivelati inattuabili, costringendoli a cambi repentini di programma. Ed è anche grazie a questi improvvisi – e improvvisati – “aggiustamenti di rotta” (accompagnati da inevitabili errori) che è possibile capire comportamenti e decisioni altrimenti poco comprensibili e, in certi casi, apparentemente illogici.
Anche qui è difficile non partire dal protagonista della storia, quel Mussolini che in genere viene descritto come un uomo completamente in balia degli eventi, abulico, indeciso, rassegnato… Ovviamente, la tensione, la stanchezza e l’impossibilità di dominare gli eventi giocarono un ruolo ma è abbastanza chiaro - tutto considerato - che il dittatore, finché fu libero, perseguì un piano politico al quale aveva lavorato nei mesi precedenti. Un piano che, in estrema sintesi, prevedeva un passaggio ordinato dei poteri al CLN, la salvaguardia dei fascisti che non lo avrebbero seguito - su base volontaria - in Valtellina, dove si sarebbe trattato di resistere solo qualche settimana, giusto il tempo necessario per concludere un accordo politico anche con gli anglo-americani sulla base non solo dei documenti che Mussolini portava gelosamente con sé (e che i servizi inglesi consideravano un obbiettivo primario già da tempo come attestano alcuni rapporti pubblicati da tempo e ignorati dai più) ma anche dei numerosi contatti avvenuti nei mesi della Rsi (anche questi attestati da numerosi riscontri). Incontri basati sulla previsione di una imminente rottura tra anglo-americani e sovietici, cosa che in effetti ci fu, ma non nei tempi che avrebbero fatto comodo a Mussolini.
L’espatrio in Svizzera non fu mai, in quei giorni, un’opzione sul tavolo. Non c’è nessuna prova che lo dimostri nonostante lo si continui a sostenere da parte di chi ignora, ad esempio, che Mussolini, ancora al momento della morte aveva casomai un lasciapassare per la Spagna che fu gli fu trovato addosso (non fu mai perquisito!) al momento dell’autopsia e che era custodito in una busta intestata al “Fascio di Dongo”, cioè il luogo dove era stato catturato. Nessuno ha mai a provato a spiegare questa circostanza decisamente curiosa e che apre la strada a varie ipotesi. Del resto, anche per altri motivi, sembra che Dongo sia stata tutt’altro che una casualità visto che il comandante partigiano locale, Pier Bellini delle Stelle, nome di battaglia “Pedro”, doveva ad una decisione di Mussolini la liberazione della fidanzata e della sorella poco più di un mese prima del loro incontro. E sempre a decisioni di Mussolini, ispirate da Claretta Petacci, si deve qualche mese prima la liberazione della moglie del comandante militare partigiano della piazza di Como, il maggiore Cosimo De Angelis. Del resto, come è noto da alcuni anni, in quell’area operava un personaggio sorprendente come l’avvocato fiorentino Bruno Puccioni, fascista ma in contatto con l’OSS americano e con i partigiani della 52ma Brigata Garibaldi, comandata proprio da Bellini delle Stelle. E gli intrecci che collegano Mussolini, le sue ultime azioni alla sponda sinistra del Lago di Como sono ancora molti, sufficienti per ritenere che avesse un “Appuntamento sul Lago” nonostante i rischi - ma anche i vantaggi - che quella strada comportava. Del resto, è noto che il capo del Fascismo avrebbe potuto salvarsi in molti modi e in tempi diversi ma, ancora il 25 aprile sera (e poi ancora il giorno successivo) rifiutò ogni proposta che non fosse quella di dirigersi verso la Valtellina. Il fattore dirimente è che, con tutta probabilità, volle ostinatamente seguire un piano che gli eventi (in primis l’atteggiamento improvvisamente passivo dei tedeschi che aveva favorito il dilagare degli anglo-americani nella Pianura padana) l’avevano costretto ad attuare con almeno 4/5 giorni di anticipo. Infatti, ancora a inizio aprile ‘45, il segretario del Partito Fascista Repubblicano e responsabile del progetto Valtellina, il non troppo efficiente Alessandro Pavolini, aveva messo nero su bianco che, secondo gli ordini ricevuti dal Duce, avrebbe messo in sicurezza il Ridotto Alpino valtellinese “entro il 30 aprile”. E che Mussolini avesse in testa una determinata tempistica lo si evince anche da una serie di testimonianze dei giorni immediatamente precedenti il 25 aprile e, addirittura, del 25 aprile mattina.
Fu quindi l’esito infelice dell’incontro in Arcivescovado con il cardinale Schuster e alcuni esponenti del CLN che fece capire a Mussolini che la situazione precipitava: nel giro di pochi minuti si trovò davanti solo esponenti partigiani “moderati” e nessun comunista (e il PCI controllava evidentemente buona parte della Resistenza) e apprese che i tedeschi stavano per firmare la resa senza aver coinvolti la RSI. Non c’era più speranza di arrivare ad un passaggio dei poteri incruento nonostante, non solo a Milano, i partigiani non avessero molte forze da mettere in campo (le formazioni più organizzate arrivarono in città solo il pomeriggio del 27 aprile, in altri casi il 28 pomeriggio…). Si partì quindi subito per Como (prendendo di sorpresa il prefetto che non si aspettava l’arrivo di tutta quella gente…) e non è senza significato simbolico che Mussolini lasciò la città con accanto, sulla sua auto, Nicola Bombacci che nel 1921 aveva fondato a Livorno con Gramsci il Partito Comunista d’Italia.
Iniziano così 24 ore folli in cui Mussolini, inseguendo i suoi piani (oscuri anche per quasi tutti quelli che erano con lui) si perde, facilitando di fatto il compito a chi voleva la sua fine, possibilmente una fine infamante. Una giornata in attesa, a metà strada tra Como (dove si erano radunate alcune migliaia di fascisti provenienti da un po’ tutto il nord Italia) e la Valtellina (dove pure c’erano almeno tre-quattro mila uomini fedeli) col risultato di favorire lo sfaldamento di entrambi i gruppi di fedeli e di ritrovarsi con pochi uomini all’appuntamento di Dongo. Anche la vicenda del travestimento con cappotto ed elmetto tedeschi va inquadrata correttamente, a costo di beccarsi l’immancabile accusa di “giustificazionismo”. Ma i fatti son fatti e ci dicono che, riluttanza a parte di Mussolini a indossare il famoso pastrano tedesco (riluttanza che ci fu ovviamente), l’episodio ha varie sfaccettature non trascurabili. A cominciare dal fatto che resta da capire il senso di quella proposta tedesca al Duce quando tutti in zona sapevano che Mussolini era nella colonna ferma; lui - alla notizia che i partigiani consentivano il passaggio ai soli tedeschi - accettò di salire camuffato sul camion tedesco a patto di essere accompagnato dal suo attendente, il vigoroso Pietro Carradori, al quale invece all’ultimo fu impedito dai nazisti di salire sul camion. Anche per questo - altro dettaglio trascurato regolarmente - i fascisti cercarono inizialmente di ostacolare, con la famosa autoblinda che era in testa alla colonna, il transito dei camion tedeschi verso la piazza di Dongo dove sarebbero stati ispezionati. Ispezione che non portò a nulla finché qualche soldato tedesco indirizzò i partigiani verso il camion “giusto”. Troppo facile pensare ad una “trappola” organizzata dai tedeschi per aver più facilmente il passaggio, cosa poi confermata pochi anni fa anche dal memoriale di uno dei capi partigiani della zona, Luigi Canali più noto come “Capitano Neri”.
Dal primo pomeriggio del 27 aprile 1945, intorno a Mussolini ormai prigioniero, si scatena una gara tra la componente moderata del CLNAI - in collaborazione con il Comando Alleato in Toscana e con il braccio militare della Resistenza, il CVL, guidato dal generale Raffaele Cadorna – e quella radicale e predominante, formata da comunisti, socialisti e azionisti. Dietro questo braccio di ferro che si sviluppa nel pomeriggio-sera del 27 aprile fino alla notte tra il 27 e il 28, sia a Milano sia sul Lago di Como, ci sono le divergenti posizioni di statunitensi (e del Regno del Sud) da una parte e dall’altra quelle dei britannici che hanno loro uomini sia nel CLNAI (l’agente del SOE Leo Valiani in primis) sia nelle formazioni sul campo. La scelta di eliminare velocemente Mussolini fu una decisione “rivoluzionaria” in netto contrasto, tra le altre cose, con gli impegni presi dal governo italiano di cui il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia era espressione e da cui dipendeva - così come dagli anglo-americani - per finanziamenti e rifornimenti. Una sentenza capitale sarebbe pure potuta arrivare ma dopo un processo e in un contesto di legalità che mancò invece completamente. Con la conseguenza accessoria - non trascurabile per chi si occupa di Storia - che si è persa così l’occasione di avere a disposizione, anche solo per un po’, un testimone chiave di oltre vent’anni di politica italiana ed internazionale.
Lo scontro tra piani e forze contrapposte è alla radice dell’improvviso cortocircuito che, con tutta probabilità, nelle prime ore del mattino del 28 aprile 1945 fa precipitare la situazione. Dal 2005 è disponibile una accurata perizia medico legale condotta da un gruppo dell’Università di Pavia coordinato da uno dei massimo anatomopatologi italiani, il Professor Giuseppe Pierucci. Questa perizia, condotta con tecniche di indagine scientifica avanzate, ha stabilito alcuni punti fermi (anche loro regolarmente ignorati…): che Mussolini fu ucciso da colpi sparati frontalmente, mentre aveva addosso solo una maglietta e i pantaloni e fu poi rivestito sommariamente; Claretta Petacci fu uccisa invece successivamente, mentre era vestita e con addosso la pelliccia, ma venne colpita alla schiena. Altri accertamenti hanno portato ad escludere che una sola raffica abbia raggiunto entrambi. Si tratta di dati scientifici che sono armonizzabili con alcune precise testimonianze (che collocano l’uccisione dei due in momenti diversi nell’arco della mattina del 28 aprile dentro o a ridosso della casa dove erano stati condotti: Casa De Maria a Bonzanigo di Mezzegra) e che cozzano irreversibilmente con altre testimonianze che fissano l’esecuzione dei due invece poco dopo le 16 del 28 aprile 1945 davanti a Villa Belmonte, così come vuole la versione che piace tanto agli storici pigri e conformisti.
E’ evidente che, arrivati a questo punto, la questione non è né politica né ideologica ma semplicemente di metodo: vale più una testimonianza, per di più sempre in contraddizione con altre testimonianze più o meno simili, oppure un’analisi scientifica che incrocia dati medico-legali e digitali? Che senso ha continuare a sostenere una versione dei fatti lacunosa, illogica (nessuno ha mai spiegato, ad esempio, perché fare tutto di nascosto proprio davanti Villa Belmonte per poi fucilare, poco dopo, a Dongo, in pubblico, con ogni formalismo, i 15 prigionieri fascisti selezionati dal solito “Valerio”/Audisio). Non è più logico ipotizzare che la morte imprevista di Mussolini, magari dopo un interrogatorio degenerato (come suggerisce, ad esempio, il memoriale del Capitano Neri) costrinse ad imbastire in fretta e furia un resoconto dei fatti “coerente” (con l’uccisione anche della Petacci, a questo punto testimone scomodo) destinato a diventare la versione ufficiale? Una narrazione che, nonostante le sempre più evidenti incongruenze, ha tutto sommato retto bene al tempo. Più per demeriti altrui che per qualità proprie.
Per saperne di più
Ho dedicato a questi temi molti anni e qualcosa di quello che ho studiato e scoperto lo trovate nei miei libri: Appuntamento sul lago (ormai fuori catalogo ma disponibile nel mercato dell’usato) e Mussolini-Churchill - Carteggio segreto; oppure nello speciale monografico che ha pubblicato anni fa Storia In Rete sugli ultimi giorni di Mussolini. Per chi non ha voglia di leggere ci sono le tre chiacchierate che ho fatto su Youtube, sul canale “Spunti di riflessione” di Paolo Arigotti e che trovate qui:
Segnalo anche il dossier su questo tema che abbiamo creato sul sito di Storia In Rete. Ricordo infine che Lunedì 28 aprile alle 21 il canale Byoblu manderà in onda il documentario che ho scritto “Mussolini una morte da riscrivere” (regia di Alessandra Gigante) e che è disponibile anche in dvd. Byoblu replicherà il documentario anche giovedì primo maggio alle ore 21.00, sabato 3 maggio alle ore 14.00 e domenica 4 maggio alle ore 22.00.
Una frase
«La storia non è un sogno bello e perpetuo. E comunque dai sogni, prima o poi, sempre ci si sveglia e a volte anche di colpo…».
Giulio Tremonti, politico ed economista
Cose interessanti e/o curiose trovate in giro
Cosa lega Stalin a Star Wars?: in occasione del lancio della seconda stagione di Andor, la serie tv (Disney+) ispirata alla saga di Star Wars, l’ideatore della serie, Tony Gilroy ha rivelato di essersi ispirato per il personaggio dell’antieroe Cassian Andor al giovane Giuseppe Stalin, attivista, terrorista e rapinatore bolscevico. In particolare, la mega rapina al centro del racconto richiamerebbe quella organizzata da Stalin nella città imperiale russa di Tiflis (in Georgia), il 26 giugno 1907 (40 morti, decine di feriti e bottino di 300 mila rubli, circa un milione di dollari).
Il Laos lotta contro le bombe: bel reportage di Paolo Arigotti su InsideOver sulla situazione del Laos, il “paese più bombardato della storia” (dagli americani): tra il 1964 e il 1973 circa 580mila bombardamenti e vari milioni di bombe, molte delle quali inesplose e pronte a scoppiare. Ogni anno sono decine gli incidenti e le vittime. Per il New York Times ci vorranno 100 anni per neutralizzare gli ordigni ancora sparsi per il paese.
La vera storia di “Americans”: speriamo trovi presto un editore italiano il nuovo libro di Shaun Walker, giornalista del britannico The Guardian, che ha appena pubblicato “The Illegals”, la storia dell’operazione di intelligence sovietica che prevedeva l’inserimento di civili/spie nella società Usa. Una vicenda raccontata anni fa dalla serie tv “The Americans”.
Il Meccanismo di Antikythera perdeva colpi?: brutto colpo per i fan della archeologia alternativa. Il celebre Meccanismo di Antikythera, conservato ad Atene, è un antico calcolatore planetario meccanico risalente a 1900 anni fa. Secondo due fisici dell'Università di Mar del Plata (Argentina), il “meccanismo” non funzionava bene: le imprecisioni nella fabbricazione avrebbero infatti causato frequenti blocchi, rendendolo inutilizzabile.
Sorprese sottomarine: durante ricognizioni nel Pacifico con un sottomarino telecomandato, gli scienziati della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) hanno scoperto un'automobile nel relitto della portaerei USS Yorktown affondata durante la battaglia delle Midway (giugno 1942). Non è ancora chiaro cosa ci facesse un’auto - una Ford Super Deluxe del 1940 - su una portaerei in pieno combattimento.
Egitto, trovata una tomba principesca: importante scoperta nell’area archeologica di Saqqara, dove è stata scoperta da archeologi egiziani la tomba del principe Userefra, figlio del re Userkaf, primo re della V dinastia, che regnò tra il 2500 e il 2490 a.C. Si tratta, per quanto riguarda l’Egitto, di una delle scoperte più importanti degli ultimi anni
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