Le spie di Mosca? Non c'è da preoccuparsi: son sempre state tra noi
Dagli anni Venti uomini e donne dell'Est, gli "illegals", cercano di sembrare occidentali sotto ogni aspetto. Per fare gli interessi del Cremlino. Come racconta un recente libro-inchiesta
Questa è la puntata #9 di “È la Storia Bellezza”, la newsletter settimanale dedicata alla Storia e alle sue continue incursioni nel presente. L’argomento questa volta è una particolare forma di spionaggio: quello degli “illegali”, agenti addestrati ad inserirsi nelle società occidentali, fuori da ogni copertura diplomatica o militare. Un metodo di infiltrazione “inventato” dai sovietici subito dopo la Rivoluzione d’Ottobre ma che è arrivato fino ai nostri giorni. Un libro appena pubblicato in Gran Bretagna ricostruisce la storia di questo fenomeno, affascinante e inquietante fin dalle sue origini. Visto che in Italia nessuno sembra essersene accorto ecco che si prova a rimediare qui.
Approfitto per annunciare che questo mese di maggio è un mese importante per il progetto di “Storia In Rete” 5.0 annunciato due mesi fa sul sito di “Storia In Rete”: la prossima settimana infatti sarà chiuso e mandato in stampa il primo numero della nuova serie della rivista. Saremo in edicola il 27 maggio. Martedì 20 maggio alle 12 (e in replica alle 15) invece ci sarà il debutto di Bella Storia, l’appuntamento settimanale di approfondimento storico che condurrò su No Limits Radio. Lo scorso 5 maggio infine abbiamo iniziato una collaborazione con il canale Youtube “Spunti di riflessione”: due volte al mese (per ora) pubblicheremo un video di circa mezz’ora nel quale verrà affrontato un tema specifico. La prima puntata la trovate qui.
Segnalare, condividere, inoltrare sono per ora i modi che avete per aiutarmi a sviluppare queste iniziative. E se aggiungete anche qualche consiglio o critica tanto meglio. In questa newsletter, sul sito, sui social troverete il modo di fare tutte queste cose, una alla volta o tutte insieme.
Annunci finiti. Buona lettura e a sabato prossimo.
The Americans è una serie tv Usa, in onda per sei stagioni tra il 2013 e il 2018. È una delle mie serie preferite e credo che almeno in Gran Bretagna e Stati Uniti possa vivere in questo periodo una seconda giovinezza grazie ad un libro uscito da poche settimane, scritto da Shaun Walker, un giornalista del londinese The Guardian. Il libro si intitola The Illegals: Russia's Most Audacious Spies and the Plot to Infiltrate the West (Profile, pp. 448, £ 22,00). The Americans è ambientato all’inizio degli anni Ottanta nell’America di Reagan e racconta la vita di due spie russe del KGB sovietico che si fingono una coppia modello, una tipica famiglia americana con un buon lavoro (un’agenzia di viaggi), una bella casa con giardino e due ragazzi, nati in America ovviamente e almeno fino all’ultima stagione ignari di tutto. Invece Walker, che ha lavorato per dieci anni in Russia, offre un panorama decisamente più ampio di un fenomeno storico iniziato nel 1919 e che, tra alti e bassi, sembra stia continuando ancora oggi.
Bene, adesso siamo tutti autorizzati a guardare con sospetto i vicini di casa a prescindere da come si comportano durante le riunioni di condominio. Perché? Perché il programma deciso a Mosca molti decenni or sono non prevedeva del puro e semplice spionaggio fatto con donne affascinanti incaricate di sedurre ufficiali o politici stranieri, finti camerieri che si intrufolano nell’ufficio di qualche ambasciatore per fotografare documenti riservati, oppure “diplomatici” capaci di acquistare segreti militari o industriali pagando o ricattando. Quello di cui si parla in questo caso è qualcosa di più raffinato e subdolo: si tratta di persone addestrate a calarsi completamente in un’altra società – quella americana in primis ma, come vedremo, non solo – assumendo identità false ma credibili, vivendo il quotidiano “del nemico”, lavorando, mandando i figli a scuola. E ovviamente eseguendo gli ordini che, tramite gli immancabili “capi stazione” arrivavano da Mosca, segnatamente dal “Direttorato S” del KGB, responsabile dell’operazione durante tutta la Guerra Fredda.
Il libro di Walker aiuta ad inquadrare meglio le recenti e ricorrenti accuse dell’Occidente alla Russia di influenzare l’orientamento delle opinioni pubbliche occidentali, soprattutto in prossimità di elezioni politiche o a proposito della guerra russo-ucraina. Fondate o meno (ma, soprattutto, realmente efficaci o no? Boh…) certe operazioni di “disinformatia” sono sicuramente più banali del colpo di genio, probabilmente una vera e propria innovazione nel campo dello spionaggio, che ebbero i capi sovietici da pochi mesi al potere nella Russia post zarista. Sono da molto tempo note e documentare – anche se poco ricordate e ancor meno citate – le azioni messe in atto dalla Mosca neosovietica per influenzare la politica di alcuni stati europei nell’immediato primo dopoguerra: la nascita di partiti comunisti in Francia, in Germania, in Ungheria, in Polonia e in Italia venne incoraggiata, finanziata e diretta (anche con l’invio di emissari incaricati di “seguire” i vari congressi di fondazione) dalla neonata Urss tra il 1919 e il 1921. L’obbiettivo era quello di esportare velocemente la rivoluzione bolscevica un po’ ovunque. Non andò benissimo, come sappiamo. Ma, parallelamente, si agì subito anche iniziando ad infiltrare uomini sotto copertura, incaricati di installarsi in città europee e statunitensi con vari compiti: controllare ed eventualmente eliminare fuoriusciti zaristi, dissidenti e, ovviamente, raccogliere informazioni. Sembra che il primo “illegal” (definizione coniata molto tempo dopo dal FBI statunitense, storicamente a caccia di infiltrati, per distinguerle dalle spie con copertura diplomatica) sia sbarcato in America del nord nel 1921. Si ha notizia di varie operazioni di clandestini in Europa in quel periodo: ad esempio due agenti sovietici avvelenarono nel 1925, in un ristorante di Magonza, un disertore russo che si chiamava Vladimir Nesterovich. Uno dei tanti omicidi mirati ordinati da Stalin.
«Dopo la Rivoluzione russa – ha scritto Adam Sisman recensendo sul Guardian il libro del collega - molti paesi ostili si rifiutarono di riconoscere la nuova Unione Sovietica, che quindi non aveva ambasciate da cui le spie convenzionali potessero operare. Furono gli anni eroici dei "grandi illegali", che si spacciavano per aristocratici europei, mercanti persiani o studenti turchi mentre spiavano il nemico capitalista, usando la konspiratsiya ("sotterfugio") bolscevica per eludere la cattura». La vittima più illustre di quel periodo è Lev Trotsky, ex compagno di rivoluzione di Stalin, assassinato in Messico nell’agosto 1940. Del resto, i “nemici della Rivoluzione” non stavano solo tra i capitalisti o i fascisti ma anche tra gli stessi rivoluzionari, specie se non erano troppo fedeli e ubbidienti al Cremlino. Nel 1949, il dittatore comunista jugoslavo Tito, in rotta con Mosca, fece sapere a Stalin di aver già catturato cinque dei killer che erano stai mandati per ucciderlo e che se ne fossero stati mandati altri, gli avrebbe reso la pariglia. Tra farabutti ci si intendeva anche così.
Non sappiamo la fine che fecero i sicari staliniani neutralizzati dagli jugoslavi anche se è facile immaginarlo. Ma anche senza arrivare ai rischi che si correvano finendo nelle mani della polizia segreta titina, comunque, a differenza degli "agenti residenti", che si trovano legalmente in un paese straniero come diplomatici, gli “illegals” non erano immuni da procedimenti giudiziari se catturati. E questo non è che uno dei non pochi elementi di stress che, alla lunga, ha portato al fallimento di molte missioni. L’elemento psicologico è ben descritto in The Americans e il libro di Shaun ha il merito di dare spessore storico anche a questo aspetto. Infatti, oltre all'addestramento di routine a cui vengono sottoposti anche gli agenti dei servizi segreti "legali", lavorare come clandestino richiede molto di più: dalla padronanza di lingue (fondamentale ad esempio il lavoro sugli accenti e le cadenze) inclusi i dialetti, la cura del linguaggio del corpo, la capacità di mentire e gestire i rapporti personali e familiari, col partner e soprattutto con i figli. Shaun Walker racconta che uno dei più micidiali agenti del servizio segreto sovietico, il futuro generale KGB Yuri Drozdov, abbia addirittura preso lezioni di recitazione da Berthold Brecht per prepararsi ai suoi sei anni da clandestino nella Germania dell’Est negli anni Cinquanta.
Se ci fosse un INPS anche per le spie, la categoria degli “illegals” sarebbe sicuramente classificata tra i lavori altamente usuranti: la casistica non lascia dubbi sui costi umani e psicologici che richiede l’assunzione di una nuova identità per decenni. Cercare di mostrarsi come uomini e donne indistinguibili dai normali americani, che vivono – in apparenza – vite del tutto ordinarie comporta dosi di incertezza e isolamento enormi. Macigni morali che diventano il pane quotidiano per gli agenti e per i loro più o meno consapevoli congiunti. Walker cita diversi casi di clandestini travolti da ansia e problemi familiari. Prima della missione, uomini e donne venivano accoppiati senza grande attenzione ai “dettagli” romantici ma con molto scrupolo per gli aspetti pratici: ad esempio, mai parlare in russo, nemmeno nei momenti più intimi; Walker racconta anche di una donna incinta clandestina che temeva di tradirsi gridando in russo durante il travaglio.
Molti clandestini durante la Guerra Fredda non avevano alcun ruolo attivo. Erano conosciuti come "dormienti" e avevano semplicemente l’ordine di nascondersi e aspettare che Mosca avesse bisogno di loro. In alcuni casi, l’Urss invece non sapeva bene come utilizzarli: è il caso di Yuri Linov, arruolato da adolescente negli anni Cinquanta, addestrato con cura e mandato in Occidente con una nuova identità e una moglie visto che si era ormai capito che la solitudine (con conseguente facile caduta nell’alcolismo) era più pericolosa di qualunque controspionaggio. Peccato che la moglie non fosse stata addestrata e motivata con la stessa meticolosità di Linov: non riusciva a sopportare le tensioni della loro doppia vita e questo indusse i vertici del KGB a spostare di continuo Linov, vanificando di fatto il suo lavoro per molti anni. Poi però si riscattò perché nel 1968 si trovava in Cecoslovacchia e riuscì ad intuire che si stava preparando qualcosa. Quel “qualcosa” era la Primavera di Praga che fece tremare Mosca e portò alla clamorosa invasione sovietica del luglio 1968.
Ancora più emblematico il caso di Albert Dittrich, tedesco orientale, mancato professore di chimica, diventato un vero e proprio “american”, entrato negli Usa nel 1978 all'età di 29 anni, spacciandosi per un cittadino canadese, William Dyson. Aveva viaggiato passando per Belgrado, Roma, Città del Messico e Chicago per poi svanire nel nulla momentaneamente e subito dopo diventare Jack Barsky (che era il nome di un bambino di 10 anni morto a metà degli anni Cinquanta). Dittrich/Barsky scoprì in seguito di aver fatto parte di una "terza ondata" di clandestini. I primi due gruppi non diedero evidentemente grossi risultati o dovettero essere rimpiazzati/integrati col passare del tempo. Cosa che capitò anche all’informata di cui faceva parte Dittrich visto che ormai è appurato che i clandestini continuarono a infiltrarsi anche negli anni successivi e probabilmente ancora oggi.
Dittrich lavorò duramente per molti anni fino a quando la sua situazione sentimentale si complicò. Come ha raccontato lui stesso in un libro di memorie scritto nel 2017 (Deep undercover, Tyndale Momentum, pp. 339) aveva lasciato oltre cortina una moglie e un figlio ma ora si era innamorato di una donna della Guyana dalla quale ebbe una figlia. Ora aveva due famiglie e sapeva che prima o poi la situazione sarebbe esplosa. Cosa che infatti avvenne nel 1988 quando, dopo 10 anni trascorsi sotto copertura, gli fu improvvisamente ordinato di tornare a casa immediatamente. Mosca era convinta che l'FBI fosse sulle sue tracce. Non era vero ma presto lo sarebbe stato. Infatti, mentre cambiava città e lavoro per far perdere le proprie tracce, Bansky non poteva sapere quello che stava accadendo in Europa dove, nel 1992, stava per approdare l’uomo che avrebbe terremotato la rete sovietica in Occidente: l’ex archivista del KGB, Vasili Nikitich Mitrokhin, che disertò subito dopo la caduta del comunismo, rivelando ai servizi inglesi (che provvidero ad informare gli alleati, Italia inclusa) un'enorme quantità di segreti sovietici, tra cui la vera identità di Jack Barsky. L’FBI lo tenne sotto osservazione per più di tre anni, arrivando persino ad acquistare la casa accanto alla sua, nel tentativo di scoprire se fosse davvero un agente del KGB e, in caso affermativo, se fosse ancora in attività. Alla fine, ignaro del fatto di avere la casa piena di microspie, fu lo stesso Barsky a rivelarsi durante una lite con la moglie: «Cercavo di salvare un matrimonio che stava lentamente andando in pezzi. Cercavo di raccontare a mia moglie il “sacrificio” che avevo fatto per stare con Chelsea e lei. Così le ho detto: “Ecco cosa ho fatto. Sono tedesco. Lavoravo per il KGB e mi hanno detto di tornare a casa, così sono rimasto qui con te ed è stato molto pericoloso per me. Ecco cosa ho sacrificato”». La moglie non prese bene la rivelazione, l’FBI invece sì perché era esattamente quello di cui aveva bisogno per arrestarlo.
Nel tempo gli americani hanno sviluppato una certa efficienza nel contrasto alle infiltrazioni sovietiche che si sono intensificate fin dal secondo dopoguerra. L’FBI l’ha chiamata “Caccia agli unicorni”. Era uno dei tanti fronti della Guerra Fredda, combattuta con ogni mezzo, anche quelli più ingegnosi e trasversali: da poco, in America, è in libreria ad esempio il saggio The CIA Book Club di Charlie English (William Collins, pp. 384) dove si racconta delle operazioni dell’intelligence Usa per infiltrare nel blocco sovietico libri “proibiti” come quelli, tra gli altri, di Hannah Arendt, Aleksandr Solzhenitsyn, George Orwell, Boris Pasternak e… Agatha Christie. Spesso, da una parte e dall’altra, si ricorreva poi ai soliti, banali ma essenziali finanziamenti: in Italia il PCI ricevette per decenni regolari sovvenzioni da Mosca mentre i partiti di governo, Democrazia Cristiana in testa, venivano sostenuti da Washington. Ma gli Usa investivano, ovviamente anche in patria per contrastare un nemico insidioso e percepito forse come più pericoloso di quanto fosse davvero. Sta di fatto che, grazie ad una vera e propria fobia collettiva alimentata da CIA e FBI (il cui capo, J. Edgar Hoover, arrivò a dichiarare che l’Unione Sovietica stava addestrando milioni di bambini ad attaccare gli Stati Uniti come "paracadutisti suicidi armati di piccole bombe"), si registrò anche un enorme aumento del budget della CIA (da meno di 5 milioni di dollari nel 1949 a oltre 80 milioni di dollari nel 1952) e del Federal Bureau.
Per decenni, entrambi i fronti hanno registrato sconfitte e successi e il settore degli “illegali” non ha fatto eccezione anche se, per questi uomini e donne, spesso rimasti senza nome, il sacrificio richiesto era superiore a qualunque altro per molti aspetti, psicologici e operativi, di cui in parte si è già detto. Tuttavia, come osserva acutamente Walker, c’era un ulteriore elemento paradossale. L’Unione Sovietica era una società chiusa, che faticava a comprendere l’Occidente; il KGB voleva agenti intelligenti, flessibili e cosmopoliti in grado di potersi calare nell’identità di un occidentale, ma allo stesso tempo così ideologicamente saldi da sopportare la pressione di vivere sotto copertura per anni restando indifferenti alle enormi carenze della società sovietica. Molti crollarono sotto la pressione. Altri, semplicemente, cercarono di allontanarsi dalla gabbia in cui erano stati messi. E’ il caso, tra gli altri, di Jack Barsky che, anni dopo, ha confessato che come altri agenti sotto copertura prima di lui, si era reso conto che molto di ciò che gli era stato insegnato sull’Occidente - un sistema "malvagio" sull’orlo del collasso economico e sociale - era una bugia: «Mi aspettavo sempre di trovare prima o poi persone veramente malvagie, e non le ho trovate nemmeno nella compagnia assicurativa. Non c’era niente di quello che ci avevano insegnato. Niente di quello che mi aspettavo. Volevo davvero odiare la gente e il Paese, ma non riuscivo a odiarli. Nemmeno a provare antipatia per loro…». In molti casi un problema insormontabile è nato a causa dei figli: come si vede anche in The Americans, quando i ragazzi iniziano a crescere diventa difficile mantenere la copertura e spesso c’è stata la necessità di confessare loro ogni cosa. Nell’ultima stagione della serie si vede la figlia maggiore dei due protagonisti che sceglie addirittura di seguire le orme dei genitori. E qualche caso del genere in effetti sembra che ci sia stato davvero.
A fine anni Ottanta, ormai, alla caduta di tensione morale, psicologica e ideologica corrispondeva anche una efficienza operativa sempre più scadente: come tutti gli altri settori dell’Urss anche il programma per gli emigrati clandestini era a pezzi. Le strategie del KGB si erano deteriorate: una coppia "britannica" fu arrestata al confine finlandese nel 1992 perché parlava male l'inglese e non sapeva che i conservatori avevano appena vinto le elezioni. Il nuovo capo del KGB di Gorbaciov, Vadim Bakatin, si lamentò del fatto che gran parte delle informazioni che riceveva dall’estero erano «spazzatura informativa che spesso non aveva più valore di ritagli di giornale».
La caduta del Muro di Berlino del 1989 e il crollo del sistema sovietico non ha però segnato la fine dell’esperienza degli “illegals”. E questo, si racconta, proprio grazie all’avvento al potere di Vladimir Putin, ex KGB, che ne ha rilanciato il mito elogiandone il "forte morale" e il "carattere fermo". Nella nuova Russia, i risultati degli “illegals” sono però stati enormemente esagerati: in realtà, hanno prodotto ben poco per giustificare l'enorme sforzo necessario per addestrarli e sostenerli, e Walker dimostra che le scarse informazioni che sono riusciti a raccogliere sono state spesso ignorate o sottovalutate. Tuttavia, il pericolo resta: una grande operazione dell’FBI nel 2010 ha permesso di scoprire e smantellare una grossa rete di clandestini russi tra i quali la bella e spregiudicata Anna Chapman che ha avuto una certa fortuna mediatica prima di essere riassorbita nel sistema dell’intelligence russa dopo uno scambio di prigionieri. Ma, al di là delle implicazioni di gossip (ovviamente amplificate dai nascenti social media), l’inchiesta del 2010 oltre ad aver dato l’ispirazione alla serie tv The Americans (scritta, tra l’altro da un ex Cia: Joe Weisberg) ha dimostrato che l’operazione avviata nel 1919 non è mai finita. E anzi, forse proprio il conflitto russo-ucraino potrebbe aver contribuito ad un ulteriore incremento di “illegals” in Occidente. Il perché è presto detto: dopo l’invasione dell’Ucraina oltre 400 “diplomatici” russi sono stati espulsi dai paesi occidentali costringendo Mosca a rivedere le sue strategie di intelligence. Il sito di Voice of America (una voce importante e globale ma non sicuramente “neutra” oltre che invisa all’amministrazione Trump che vorrebbe chiuderla) ha rivelato che esperti ed osservatori dell’intelligence russa hanno lanciato l’allarme per una probabile "rinascita degli illegali" ai quali, attualmente, potrebbero essere affidate fino al 90% delle operazioni segrete in corso.
Una frase
«Non c’è una verità che non sia stata, il giorno della sua pubblicazione, considerata come un paradosso».
Pierre-Joseph Proudhon, filosofo francese (1809-1865)
Cose interessanti e/o curiose trovate in giro
Divulgare è una cosa seria: bisognerebbe però dirlo a certi “divulgatori”…Bello e denso l’intervento di Federico Giannini, direttore di Finestre sull’Arte sulla superficialità dei maggiori “divulgatori” televisivi italiani capaci solo di ripetere «stereotipi e cliché che il pubblico già conosce e che però tendenzialmente ama sentirsi raccontare, che eliminano qualunque forma di complessità».
Mosca “manipola” la Storia?: il 4 maggio scorso, un gruppo di circa 80 storici europei ha sottoscritto un articolo sul quotidiano francese Le Monde, per denunciare il revisionismo storico di Mosca che mira a giustificare l’attacco all’Ucraina e a dividere Europa e Stati Uniti anche attraverso una lettura non condivisa della Seconda guerra mondiale. In particolare gli storici hanno criticato la versione di Putin sull’origine del conflitto nel 1939, attribuita dai russi alla Polonia e non al Terzo Reich e alla sua allora alleata Urss.
Un umorista infelice: secondo Ron Chernow, storico specializzato in biografie, vincitore del premio Pulitzer, il grande scrittore umoristico americano Mark Twain (1835-1910) riversò ogni arguzia, saggezza e capacità comica nei suoi scritti mentre nella vita assommava molti limiti. In Mark Twain (Penguin Press, pp. 1200, $ 45,00) Chernow arriva a dipingere Twain come un credulone, emotivamente immaturo, incline a sprecare il denaro, razzista e anche un po’ troppo attratto, in vecchiaia, dalle giovani adolescenti.
Almeno i teschi tornano a casa: l’Università di Edimburgo (Scozia) ha restituito i teschi di tre indigeni giapponesi del popolo Ainu vissuti oltre 100 anni fa. I resti, conservati presso il Museo Anatomico dell'università per oltre un secolo, erano stati donati dall'antropologo scozzese Neil Gordon Munro, a lungo direttore del General Hospital di Yokohama. Gli Ainu sono un gruppo indigeno che vive principalmente nell'isola di Hokkaido dove, per secoli, hanno mantenuto la propria cultura e la propria lingua.
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Se alza gli occhi e dà un'occhiata oltre la sua personale barricata temo non mi troverà... detto questo liberissimo di pensarla come credo. Io insisto a dire che Stalin e Tito siano stati due farabutti della peggior risma e sanguinari come pochi altri. E questo sia anche sia prima (per Stalin) che dopo (entrambi) la Seconda guerra mondiale. Non è perché uno ha combattuto Hitler diventa automaticamente buono e santo...
Putin al potere rappresenta l'istituzionalizzazione al vertice degli 'illegali' come prassi universale ed eterna. Per la Russia niente di nuovo. E' insita nel suo DNA plurisecolare.