L'Oro della Patria? È sempre in libera uscita (e di incerto rientro)
Perché più della metà delle nostre riserve auree è all'estero, specie negli Usa? "Ragioni storiche" spiega Bankitalia ma non dice quali. Proviamo a rimediare con qualche ipotesi e un episodio del 1940
Rieccomi, come ogni sabato, con una nuova puntata di “È la Storia Bellezza”, la newsletter che cerca di unire presente e passato attraverso notizie di cronaca e aggiornamenti su quanto si muove nel mondo della ricerca storica. Devo dire che, grazie cielo, la cronaca è davvero generosa di spunti e per questa puntata, la # 16, ho cambiato tema in corsa perché la storia delle riserve auree italiane, che per quasi la metà (parliamo di oltre mille tonnellate) stazionano da tempo immemore all’estero, mi sembra folle ma anche intrigante. Ne parlo soprattutto perché tra le giustificazioni ufficiali di questa anomalia - alla quale si sta finalmente pensando di porre rimedio - ci sono "ragioni storiche” non meglio precisate. E visto che Bankitalia e altri non si perdono in spiegazioni allora ho cercato qualche spunto per riempire questo vuoto.
Chiudo, evitando - come già la scorsa settimana - di chiedervi di partecipare ad un piccolo sondaggio o di scegliere un modo tra i tanti per far conoscere a più persone possibile questa newsletter. Casomai ne parliamo la prossima volta. Adesso c’è altro di cui occuparsi e cioè del nostro oro…
Il paludato e autorevole Financial Times ha dato finalmente voce ad un’ansia crescente e di vecchia data: Germania e Italia starebbero considerando l’idea di far rientrare le importanti quantità di oro che le rispettive banche centrali hanno da tempo depositato negli Stati Uniti. Tanto per cambiare, le preoccupazioni hanno un’origine ben precisa: Donald Trump. «L’incostante politica di Trump e la più ampia instabilità geopolitica stanno alimentando un dibattito pubblico sulla questione in alcune parti d’Europa – ha scritto il quotidiano inglese lo scorso 23 giugno - Il presidente degli Stati Uniti ha dichiarato all'inizio di questo mese che potrebbe dover "forzare qualcosa" se la banca centrale statunitense (la Federal Reserve o FED, NdR) non dovesse ridurre i costi di indebitamento (…) La Taxpayers Association of Europe ha inviato lettere ai ministeri delle finanze e alle banche centrali di Germania e Italia, esortando i responsabili politici a riconsiderare la loro dipendenza dalla Fed come depositaria del loro oro. "Siamo molto preoccupati che Trump possa manomettere l’indipendenza della Federal Reserve Bank", ha dichiarato al FT Michael Jäger, presidente della TAE. “La nostra raccomandazione è di riportare a casa l’oro [tedesco e italiano] per garantire che le banche centrali europee ne abbiano un controllo illimitato in qualsiasi momento”».
Ma quanto oro italiano c’è in America? E soprattutto: perché è lì? Il sito della Banca d’Italia afferma che negli Stati Uniti ci sono ben 1.061,5 tonnellate di nostro oro, pari al 43,29% dell’intera riserva aurea italiana che è tra le maggiori al mondo: «Germania e Italia detengono la seconda e la terza riserva aurea nazionale più grande al mondo dopo gli Stati Uniti – ha scritto ancora il Financial Times -, con riserve rispettivamente di 3.352 tonnellate e 2.452 tonnellate, secondo i dati del World Gold Council. Entrambi i Paesi fanno ampio affidamento sulla Federal Reserve di New York a Manhattan come depositario, conservando ciascuno più di un terzo dei propri lingotti negli Stati Uniti. Complessivamente, l’oro conservato negli Stati Uniti ha un valore di mercato di oltre 245 miliardi di dollari, secondo i calcoli del Financial Times». C’è poi da considerare anche un’altra circostanza: altro oro italiano è, oltre che in America, anche in Gran Bretagna e Svizzera senza dimenticare le 141 tonnellate conferite dal Governo di Roma nel 1999 alla Banca Centrale Europea (ma che dovrebbero essere comunque “conservate” in Italia) e che quindi non vanno considerate come parte integrante delle riserve auree nazionali. Come osserva Pietro Romano nell’ultimo numero degli Speciali di Storia In Rete – numero dedicato alla “sovranità nazionale limitata” – la costante lontananza di tonnellate d’oro dal controllo diretto delle nostre autorità è una di quelle cose per le quali, fino ad oggi, non si è mostrata grande attenzione: «E’ lecito domandarsi, però, perché un pizzico d’indignazione non l’abbia meritato la persistente permanenza di una parte consistente dell’oro nazionale in altrui Patrie. Pur essendo ormai lontana la possibilità di un’occupazione sovietica (e di una presa del potere comunista)… A parte che non si comprende perché quasi il 12% dell’intera disponibilità sia nei forzieri di altri Paesi europei, sia pure fuori dall’Unione (Gran Bretagna e Svizzera non fanno parte dell’Unione Europea, NdR), il problema maggiore rimane quello dell’enorme quantità d’oro tricolore in possesso degli Usa. Tanto più in un momento nel quale lo stesso presidente americano, Donald Trump, ha messo in dubbio che nel mitico deposito di Fort Knox ci sia ancora l’oro che fino al suo predecessore Joe Biden la Casa Bianca assicurava ci fosse. Un luogo, Fort Knox, inaccessibile perfino ai rappresentanti del Congresso americano: l’ultima visita accordata risale al 2017. Figuriamoci a rappresentanti italiani, che non risulta siano mai stati infatti nella località del Kentucky». L’oro custodito dagli Usa è sia a Manhattan che a Fort Knox dove, secondo la stessa Zecca degli Stati Uniti, ci sono circa 4.582 tonnellate di metallo prezioso, pari a circa il 59% delle riserve totali del Tesoro americano.
Difficile non immaginare un nesso tra la ben nota e conclamata ridotta autonomia italiana in politica estera e il fatto che quasi la metà delle nostre riserve auree siano sotto il controllo diretto degli Stati Uniti. Certo non è l’unico fattore storicamente condizionante ma sicuramente ha esercitato, ed esercita, un peso non secondario. E’ anche questa una delle cause storiche che dovrebbero “spiegare” un fatto abbastanza straordinario e che ci unisce ad un’altra nazione europea che, guarda caso, nella Seconda guerra mondiale era nostra alleata e che forse ha sul suo territorio ancora più basi militari Usa di quante ce ne siano in Italia. Riassumendo: le grandi sconfitte della Seconda guerra mondiale in Occidente, Italia e Germania, sono anche le nazioni con più basi Usa sul proprio territorio e, al tempo stesso, le due nazioni con i maggiori depositi di oro negli States… Sarà sicuramente una casualità anche perché l’altro grande sconfitto della Seconda guerra mondiale, il Giappone, ha riserve auree nettamente inferiori a quelle dei suoi ex alleati europei: poco più di un terzo di quelle italiane tanto per intenderci.
Insomma, tra le “ragioni storiche” cui allude anche la Banca d’Italia c’è, “molto probabilmente”, anche l’ombra lunga della sconfitta nel conflitto mondiale. Ombra che dalle parti di Via Nazionale non è percepita visto che per loro le “ragioni storiche” sarebbero altre: «La scelta di dislocare all'estero poco più della metà del metallo, presso diverse Banche Centrali, deriva, oltre che da ragioni storiche, legate ai luoghi in cui l’oro fu acquistato, (corsivo mio) anche da una strategia di diversificazione finalizzata alla minimizzazione dei rischi. Inoltre, la localizzazione prescelta dalla Banca riflette la primaria importanza di tali piazze finanziarie per il mercato internazionale dell'oro».
Ammesso che tutto questo abbia mai avuto un senso adesso le cose sono comunque cambiate visto che, sempre il Financial Times, ha osservato che «un sondaggio condotto questa settimana su più di 70 banche centrali mondiali ha rivelato che molte di loro stanno pensando di conservare il proprio oro a livello nazionale, a causa delle preoccupazioni sulla loro capacità di accedere ai lingotti in caso di crisi. La dipendenza delle banche centrali europee dalla Fed come depositaria dell’oro è da tempo motivo di contesa. I paesi dell'Europa occidentale accumularono enormi riserve auree durante il boom economico dei due decenni successivi alla Seconda guerra mondiale, quando registrarono ingenti surplus commerciali con gli Stati Uniti. Fino al 1971, il dollaro veniva convertito in oro dalla banca centrale statunitense nell’ambito del sistema di tassi di cambio fissi di Bretton Woods. Conservare il metallo prezioso oltreoceano era anche visto come una copertura contro una potenziale guerra con l’Unione Sovietica (corsivo mio). Nonostante ciò, a metà degli anni '60 la Francia trasferì la maggior parte delle sue riserve auree all’estero a Parigi, dopo che il presidente Charles De Gaulle perse fiducia nel sistema di Bretton Woods. In Germania, una campagna popolare per "rimpatriare il nostro oro" iniziata nel 2010 ha cambiato la politica della Bundesbank. Nel 2013, la banca centrale tedesca ha deciso di depositare metà delle sue riserve in patria, trasferendo 674 tonnellate di lingotti da Parigi e New York alla sede centrale di Francoforte in un’operazione ad alta sicurezza costata 7 milioni di euro. Attualmente, il 37% delle riserve auree della Bundesbank è depositato a New York». Chissà se riusciremo in tempi ragionevoli a imitare o superare i tedeschi… C’è da dubitarne visto che, interpellato dal Corriere della Sera, l’on. Marco Osnato (FdI), presidente della Commissione Finanze della Camera, ha sorprendentemente dichiarato che «il tema della collocazione geografica dei lingotti italiani non mi pare rilevante».
Forse però ha ragione Osnato: non ha importanza dove sia il nostro oro anche perché, probabilmente, qualche tonnellata aurea è oltreoceano da molto più tempo di quanto si possa immaginare. Tutta questa storia mi ha fatto tornare in mente un articolo di 15 anni fa, scritto da un amico e collega, Roberto Festorazzi, uno dei pochi giornalisti italiani col gusto per la storia e i documenti. Nel giugno 2010, Festorazzi ha scritto un interessante articolo per il settimanale Gente dal titolo «1940: fuga a New York dell’oro d’Italia» e che rivelava che a pochi mesi dall’entrata in guerra, il regime fascista aveva deciso di trasferire negli Stati Uniti alcune tonnellate d’oro delle riserve auree del Regno d’Italia. Il tutto, probabilmente, anche a garanzia di un ingente prestito in dollari. Scriveva Festorazzi: «Per garantirsi dai rischi di un assalto tedesco alle riserve d’oro (che infatti furono depredate dall’ex alleato dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943), Mussolini fece esportare preziosi carichi. Che il dittatore fascista temesse la rapina hitleriana nel caso in cui l’Italia avesse deciso il “cambio di cavallo” passando con gli angloamericani, o semplicemente prolungando la sua non belligeranza, è dimostrato dal fatto che l’oro raggiunse gli Usa: un paese ancora neutrale, ma orientato verso una potenziale alleanza con le nazioni occidentali». A rivelare un aspetto poco noto dei mesi che precedettero l’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940, documenti dell’archivio dell’allora ministro degli Scambi e delle valute Raffaello Riccardi, tra i quali una sua corrispondenza con la Banca d’Italia. Da questa documentazione emerge che tra il marzo e il maggio 1940, ci furono almeno sei trasporti di oro dall’Italia agli Stati Uniti. Un trasferimento importante di cui sappiamo la consistenza totale: 25 tonnellate. Il primo invio fu di due tonnellate e mezzo, partite da Napoli il 6 marzo 1940 a bordo del transatlantico “Rex”. Anche successivamente il mezzo di trasporto fu quello delle grandi navi passeggeri come, ad esempio, il “Conte di Savoia” che lasciò Genova il 15 marzo 1940 con un carico analogo.
Una circostanza che va messa in relazione con altre notizie che si hanno sui controversi mesi della “non belligeranza italiana”: infatti al momento dello scoppio della guerra mondiale con l’invasione tedesca (e poi sovietica) della Polonia, l’Italia si astenne dallo scendere in campo ma dando il via ad una serie di azioni in apparenza contraddittorie e che, in ultima analisi, servivano a contenere il più possibile il pericolo tedesco. In questo senso vanno inserite ad esempio, tra le tante cose, le informazioni riserve trasmesse da Roma agli altri paesi minacciati dai tedeschi (come il Belgio dalla cui famiglia regnante proveniva Maria José, principessa di Piemonte e futura regina d’Italia), le trattative con la Gran Bretagna per la vendita di armi e, soprattutto, l’avvio dei lavori di fortificazione (continuati fino all’autunno 1942) al confine del Terzo Reich per quello che ufficialmente si chiamava “Vallo Littorio” e che la vox populi battezzò “Linea Non Mi Fido”. Ma, tornando, alla questione dell’oro, è significativo che l’operazione di trasferimento negli Usa venne decisa tra il dicembre 1939 e il gennaio 1940, le settimane cioè in cui i rapporti italo-tedeschi toccarono il punto più basso con un duro discorso di Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri, alla Camera e poi con una lunga e famosa lettera di Mussolini a Hitler in cui il capo del Fascismo esortava il leader tedesco a cercare un accomodamento con le potenze occidentali e casomai rivolgere le sue “attenzioni” ad est, verso l’Unione Sovietica.
Insomma, è sempre la politica estera a decidere dove devono stare le riserve auree italiane (ma non solo). Vale per il passato e probabilmente varrà anche nei prossimi tempi, sia che il nostro oro rientri del tutto, solo in parte o che, più probabilmente, resti oltreoceano. Da decenni non c’è governo italiano che non sia costretto a fare i conti con gli umori, le pressioni e il peso specifico di qualche ingombrante alleato.
Una frase
«La Tradizione non è conservare la cenere, ma tener acceso il fuoco».
Gustav Mahler, compositore austriaco (1860 - 1911)
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“Bella Storia” su No Limits Radio
Martedì 2 luglio alle 12 (e in replica alle 15) va in onda la settima puntata di “Bella Storia”, la mia nuova trasmissione di Storia e attualità su No Limits Radio la web radio in cima alla classifica degli ascolti medi giornalieri. Fatemi sapere che ne pensate su Facebook, Instagram, X. Le puntate precedenti sono su No Limits Radio Replay.
Cose interessanti e/o curiose trovate in giro
Colombo? Era genovese. Parola di spagnolo: lo storico Esteban Mira Caballos ha fatto un intervento deciso per stroncare - ma servirà? - l’incredibile leggenda che vuole, contro ogni evidenza, Cristoforo Colombo nato non in Italia ma in Spagna (e non in un solo luogo ma in diverse località, a seconda delle teorie). Caballos ha appena pubblicato una biografia del navigatore e ha attaccato un documentario, trasmesso dalla tv pubblica spagnola, che rilancia la “pista iberica” basandosi su analisi del DNA (che con l’anagrafe c’entrano come il cavolo a merenda…).
Una mostra su Maria Antonietta, icona di stile: il 20 settembre il V&A Museum di South Kensington, a Londra, inaugurerà la mostra Marie Antoinette Style, la prima esposizione nel Regno Unito interamente dedicata alla regina francese morta sulla ghigliottina nel 1793 e considerata una delle figure chiave nella storia del costume e della moda.
Migrare è un conto, restare è un altro: alla fine della Seconda Guerra Mondiale milioni di rifugiati bloccati in Europa, Cina e Africa si mossero verso l'Australia che fu trasformata profondamente dalle ondate di migranti. Tuttavia, come documentano i saggi inclusi in When migrants fail to stay (Bloomsbury), non bastava sbarcare dall’altra parte del mondo per risolvere i propri problemi: e così almeno due dei cinque milioni di persone arrivate tra il 1947 e il 1985 se ne andarono. Mutatis mutandis…
Soft power e videogiochi: arriva dal Sudafrica un nuovo videogioco che si chiama Relooted (traducibile con “Ripristinato”). Scopo del gioco (realizzato da un gruppo di creativi provenienti da vari paesi africani) è quello di trasformare i giocatori in “ladri etici” incaricati di recuperare manufatti africani portati in musei occidentali durante l’epoca coloniale. Un evidente richiamo al sempre più scottante dibattito internazionale sulla restituzione del patrimonio culturale degli ex paesi colonizzati.
Guerra e stupri: si intitola Unsilenced: la violenza sessuale nei conflitti la mostra inaugurata lo scorso 23 maggio a Londra presso l’Imperial War Museum. Nel corso della storia della guerra la violenza sessuale è stata perpetrata su larga scala e la mostra prova a raccontarlo con particolare attenzione al Novecento (ma trascurando, come ha evidenziato Dagospia, il terribile fenomeno delle marocchinate nell’Italia del 1944).
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