Test #0/2 - Brevi (e incomplete) riflessioni sull'eterogenesi dei fini della Storia
Continua il rodaggio della nuova newsletter. Lo spunto per questa puntata arriva da una recente dichiarazione del presidente Usa Trump: «Se l’Iran mi fa uccidere, ho dato ordine di annientarlo»
Benvenuti a “È la Storia Bellezza”, la newsletter settimanale che prova (senza l’aiuto dell’Intelligenza Artificiale) a guardare in modo diverso al rapporto tra attualità e Storia, offrendo notizie e riflessioni prese dalla stampa di tutto il mondo. Il tema di questa seconda newsletter di prova è l’effetto che possono avere sulla Storia alcuni attentati politici. Lo spunto lo ha fornito pochi giorni fa il presidente Usa Trump…. Buona lettura
Washinton, 4 febbraio 2025: durante la conferenza stampa di rito dopo i colloqui con il premier israeliano Netanyahu, il presidente Usa Donald Trump ha dichiarato, tra le altre cose, che: «Ho lasciato istruzioni, se mi uccidono saranno annientati». Chi teme lo possa far uccidere? Trump pensa all’Iran. Non sarebbe del resto la prima volta che un presidente degli Stati Uniti rischia la vita per tensioni internazionali. Da sempre, ad esempio, una delle piste per l’attentato di Dallas a John F. Kennedy nel 1963 porta a Cuba. Ma non è tanto dei rapporti tra Usa e resto del mondo che voglio parlare: il tema è piuttosto quello dell’omicidio politico che cambia la Storia, a volte ben oltre le intenzioni di chi quell’omicidio l’ha progettato e portato a termine. Una legge - quella della “eterogenesi dei fini” - che nei millenni ha trovato infinite applicazioni. Fin dalla notte dei tempi…
In principio fu Caino
Il vantaggio della storia antica è che le fonti sono così scarse che le contraddizioni, quando ci sono, sono rarissime. Così, ad esempio, non c’è revisionista al mondo che si sia mai sognato di mettere in dubbio il fatto che Abele morì, in un giorno imprecisato di un anno imprecisato ma molto lontano da noi, per mano del fratello Caino. Anche sul movente il dibattito ristagna: stando al libro della “Genesi” del «Vecchio Testamento» l’omicida sarebbe stato mosso dall’invidia per il buon rapporto che la vittima aveva col Padreterno. Qualcuno ha azzardato che si sia trattato, in fondo, del primo assassinio politico della Storia. In seguito si sarebbe mirato decisamente più in alto ma bisogna riconoscere che nessun sicario, prima e dopo Caino, si è mai trovato a dover interferire nelle relazioni personali di Dio.
Difficile dire se dopo la morte di Abele il mondo sia cambiato radicalmente, se non sia stato più come era stato fino ad allora. Troppe le lacune nella documentazione e, in fondo, i due erano figli di Adamo ed Eva, due genitori dal passato burrascoso ma tutto sommato recente. La Storia dell’uomo – e relative nefandezze - è cominciata con loro.
Di certo è che a Caino bisogna riconoscere un coraggio che va ben oltre i limiti della temerarietà: infatti, al contrario di molti suoi emuli, lui di farla franca non aveva nessuna possibilità. E se per molti il castigo - qualora la giustizia terrena avesse fallito - è comunque arrivato con il “sonno eterno”, per lui le cose si complicarono immediatamente. Infatti, anche in virtù del fatto che la Terra all’epoca era tutt’altro che sovrappopolata, le indagini presero subito la direzione giusta e il colpevole venne assicurato alla giustizia in un batter d’occhio. La condanna fu esemplare: Caino trascorse il resto della sua vita ad errare senza sosta, perseguitato dal rimorso. Un unicum in tutti i sensi. Difficile dire se, il giorno fatale, Abele ebbe sentore di quello che stava per accadere e, se, col senno di poi, abbia avuto una qualche possibilità di evitare la morte.
Il grande gioco del “E se invece…”
Curvare verso «il periodo ipotetico» e ammantarlo di un po’ di mistero non serve solo ad introdurre la morte di un grande come Giulio Cesare. Aiuta anche a deviare per poche righe verso un vezzo sempre più in voga tra gli storici, specie se di osservanza anglosassone. Quello di praticare, con sobrietà, la «storia virtuale». Giocare cioè col passato, cercando di dare sviluppi diversi a dati di partenza certi e verificabili. E’ la cosiddetta «Ucronia», la storia riscritta sulla modifica, a volte anche banale e secondaria, di un fatto. Ma questa minima modifica, per un effetto “a valanga”, con lo scorrere del tempo cambia radicalmente – o, meglio, avrebbe potuto cambiare – il corso degli eventi. Insomma, se Giulio Cesare avesse dato ascolto alla moglie che, complice un brutto sogno, gli aveva consigliato di non andare in Senato, magari ci saremmo risparmiati la atomica di Hiroshima. O, magari, solo la guerra dei Cent’anni. Chi può dirlo? Ma, a ben vedere, chi potrebbe negarlo?
La «storia virtuale» si scontra - ma pure si appoggia - su “quel certo non so che…”, chiamato Destino e che non consente deviazioni da quanto stabilito. E così, il Cesare che non vuole ascoltare gli ammonimenti di sua moglie Calpurnia, il mattino del 15 marzo del 44 a.C., le fatidiche “Idi di Marzo”, non sa che il Destino ha deciso la sua morte quel giorno. Non lo sa e non lo deve sapere: così ha deciso il Fato. Ad esempio, il retore Artemidoro di Cnido che, bazzicando il gruppo dei congiurati che attendevano il condottiero-dittatore in Senato, aveva avuto sentore di quanto si stava preparando, aveva scritto un biglietto di avvertimento e lo diede a Cesare che si avviava verso la Curia. Ma la calca e la fretta impedirono al morituro di leggerlo e di sapere cosa l’aspettava. Del resto, pochi passi dopo, incontrando l’indovino Spurinna che qualche giorno avanti l’aveva già messo in guardia dal giorno delle “Idi di marzo”, Cesare aveva osservato, ironicamente, «Ecco arrivate le idi di marzo…». Pronta la risposta: «Arrivate sì, ma non trascorse». Spurinna parlò, sembra, a bassa voce. E anche questa volta Cesare non volle o poté capire. Pochi minuti dopo era a terra, immerso nel proprio sangue, ai piedi della statua di Pompeo, dopo aver lottato invano contro i congiurati che gli infersero le famose 23 pugnalate, una sola delle quali mortale, quella che lo raggiunse al petto. Cesare morì per mano di chi non voleva che il tempo passasse: i sempre più evidenti segnali di una sua volontà di riesumare, più formalmente e nei simboli che di fatto, una sorta di potere regale, aveva messo in allarme l’aristocrazia romana, romanticamente legata ai valori di una Roma repubblicana che ormai non c’era più.
Un bell’esempio di “Eterogenesi dei fini della Storia”
Il risultato fu però opposto a quello che la morte di Cesare doveva causare: non la salvezza della Repubblica ma la sua fine accelerata. Infatti, col successore ed erede di Cesare, Ottaviano Augusto, Roma divenne un impero di nome e di fatto. Il fallimento della congiura fu totale come dimostra anche la sorte dei congiurati: quasi nessuno sopravvisse all’illustre vittima per più di tre anni, a cominciare dai due capi, Gaio Cassio e Marco Bruto. Perirono tutti, chi per incidente, chi in battaglia, chi in un naufragio, chi per suicidio. In quest’ultimo caso più d’uno scelse di morire con lo stesso pugnale con cui aveva tolto la vita a Cesare e aperto la strada a quello che più temeva. Il ritorno dell’idea regale a Roma.
E’ un’altra delle leggi naturali della Storia quella che si affaccia alle spalle del cadavere di Cesare: l’eterogenesi dei fini. In altri termini, si compie un’azione per conseguire un certo risultato e invece si ottiene una conseguenza ben diversa.
Un altro esempio di “eterogenesi dei fini”
Non c’è logica al mondo che possa dimostrare, ad esempio, l’inevitabile rapporto causa-effetto tra due colpi di pistola esplosi da un tisico diciannovenne contro l’erede al trono dell’impero asburgico e lo scoppio della più grande carneficina che la Storia dell’uomo avesse mai visto fino all’estate 1914. Eppure è così: e non c’è storico che possa negare che il 28 giugno 1914, a Sarajevo, l’umanità sterzò bruscamente, il XIX secolo si congedo dalla scena dopo aver rubato quasi tre lustri al calendario e il XX secolo iniziò la sua breve corsa destinata a chiudersi anzitempo come sostiene lo storico inglese Eric J. Hobsbawn che ha scritto una storia del Novecento intitolata, non a caso, «Il Secolo Breve. 1914-1991». Senza la Prima Guerra mondiale non ci sarebbe stata, forse la Rivoluzione d’Ottobre, e senza di essa molti movimenti come il Fascismo e il Nazismo non si sarebbero imposti nel primo dopoguerra in molti stati europei e sudamericani. Non ci sarebbe stata una Seconda guerra mondiale senza le ingiustizie sancite dai vincitori della prima a Versailles nel 1919 e senza la Seconda guerra mondiale il comunismo non si sarebbe diffuso come si diffuse fino al crollo del muro e del blocco sovietico tra il 1989 e il 1991.
Appena arrestato, il giovane indipendentista serbo Gavrilo Princip, l’attentatore di Sarajevo, si rammaricò di aver colpito, oltre all’arciduca Ferdinando anche sua moglie Sofia. Fosse sopravvissuto ancora qualche anno, probabilmente i suoi rimorsi avrebbero rivaleggiato con quelli di Caino. Ma anche per gli attentatori c’è un destino benigno che li porta a morire in genere alla svelta una volta arrestati. A Princip pensò non il boia ma la tisi e questo gli impedì, almeno per questa vita, di riflettere su due circostanze. La prima è che lui e i suoi amici della “Giovane Serbia” avevano eliminato l’unico alleato che la causa indipendentista slava aveva a Vienna. La seconda è che tutto il casino che seguì a Sarajevo ebbe l’origine nel successo del più strampalato tra gli attentati, portato “felicemente” a termine solo grazie ad un incredibile concorso di circostanze che sorresse un gruppo di attentatori che più disorganizzato e arruffone non si poteva mettere insieme. Il loro elenco occuperebbe varie newsletter: qui basti ricordare che Princip, ormai convinto del fallimento dell’agguato (un suo complice aveva gettato invano una bomba contro il corteo imperiale poche ore prima) se ne stava in un caffè quando si vide arrivare l’arciduca e il seguito che, in macchina, seguivano un tragitto deciso all’ultimo minuto. L’autista, poco pratico, rallentò proprio davanti al caffè da cui stava uscendo Princip che, incredulo di tanta fortuna, ebbe quindi tutto il tempo di prendere la mira e sparare.
E poi c’è Kennedy…
A ben guardare, quasi tutti i grandi delitti politici sono il frutto più di fortunate coincidenze che di raffinati complotti. L’omicidio di John Kennedy è, in questo senso, esemplare anche se il complotto è così ben riuscito che ancora oggi manca una ricostruzione documentata e inconfutabile di quello che accadde prima, durante e soprattutto dopo le 12,30 del 22 novembre 1963 a Dallas, Texas. Nonostante le evidenti immagini di un filmino amatoriale che ha reso famoso il suo autore, un certo Zapruder, la versione ufficiale vuole che un presidente Usa sia morto per mano di un attentatore isolato, Lee H. Oswald, che da una discreta distanza e con un fucile da luna park avrebbe esploso con una precisione micidiale tre colpi in soli 5-6 secondi contro un bersaglio in movimento. Sui mandanti si è detto di tutto: dalla Mafia alla Cuba di Castro, dall’FBI o dalla Cia (i servizi segreti deviati non sono una prerogativa italiana) fino ai comunisti.
Il risultato è che, anche in questo caso, gli Stati Uniti – e cioè il paese guida del mondo occidentale – da quel giorno non furono più gli stessi. Il cambiamento più che politico-strategico fu culturale ed emotivo. I successori di Kennedy si trovarono a gestire alcune fesserie impostate da lui (tensioni con Cuba, il Vietnam) e altre che lo stesso Kennedy aveva a sua volta ereditato. Ma nessuno – con la sola, parziale, eccezione di Bill Clinton – ha saputo dare “un sogno” altrettanto forte ad un popolo che ne brucia parecchi, sia di propri che di altrui. Come spesso accade i fantastici anni Sessanta morirono che non erano ancora a metà del cammino. Ma i miti non si curano del calendario più di tanto e quello resterà il decennio dell’innocenza e della sua perdita: dei Beatles e del Vietnam, della rivoluzione sessuale e del ’68, di Bob Dylan e della Primavera di Praga, della droga e del flower power. Un decennio come gli altri tranne che, forse, per la colonna sonora e per alcuni personaggi simbolo: Martin Luther King, Malcolm X e, su tutti, un presidente puttaniere, un po’ pasticcione ma pieno di soldi, fascino e giovinezza come non se ne sarebbero più visti.
La morale della Storia arriva dal Medio Oriente
Mentre Kennedy, politicamente, si faceva le ossa, in Medio Oriente un giovane ufficiale costruiva una carriera diversa che l’avrebbe portato a incarnare speranze non troppo lontane da quelle annunciate da Kennedy: si chiamava Yitzhak Rabin, era un israeliano di formazione socialista. Ma la sua idea dei palestinesi non era troppo diversa da quella che altri israeliani di orientamento più conservatore avevano e hanno. L’unica differenza è che Rabin, ad un certo punto, si convinse che la guerra non poteva essere eterna e che bisognava trovare un modo di fare la pace tra Israele e Arafat per i palestinesi. Percorse il cammino fino alla pace con una titubanza che risultò evidente al mondo quando, davanti alla Casa Bianca, nel settembre 1993, ci mise qualche secondo ad accettare la stretta di mano che il leader palestinese gli offriva, rubandogli la scena come un consumato attore.
Quella stretta di mano gli costò cara: a Tel Aviv, due anni dopo, durante un raduno dell’associazione “Peace Now”, un ebreo integralista yemenita, Yigal Amir, gli sparò a bruciapelo pochi attimi dopo che tutta la piazza aveva finito di cantare “La canzone della pace”. Come ha osservato un intellettuale israeliano, Avishai Margalit, «assassinando Rabin, Yigal Amir ha cercato di modificare la politica israeliana, e ci è riuscito piuttosto bene (…) Con le sue minacciose dimostrazioni per le strade di Gerusalemme, con la sua esibizione di espliciti simboli di morte (bare, funi da impiccagione) e con un manifesto ritraente Rabin in uniforme da SS, la destra israeliana ha creato un clima nel quale la domanda su chi avrebbe fatto fuori Rabin diveniva meramente statistica».
La morte di Rabin, è evidente, ha avuto un peso sulla pace in Medio Oriente e forse anche qualcosa in più. Netanyahu prima poi Sharon e quindi nuovamente Netanyahu hanno imboccato strade decisamente diverse e le cronache dalla Palestina ci dicono quotidianamente quali sono i risultati. Risultati che, in qualche modo, riecheggiano e sottendono le aprole di Trump citate all’inizio. Anche le tensioni tra Usa e Iran hanno a che fare con la storia infinita del Medioriente. Con Rabin è finita una politica realistica di pace e ora il mondo guarda attonito e rassegnato una polveriera che è già esplosa e che può attaccare la miccia ad altre polveriere. I disastri – Princip insegna – possono cominciare per molto meno.
Una frase
«L’Occidente, che si vanta di non conoscere la censura, separa puntigliosamente le idee alla moda da quelle che non lo sono. E per quanto queste non siano espressamente vietate, esse non possono esser dette né dalla stampa né nell’insegnamento universitario».
Aleksandr Solzenicyn, scrittore russo (1918 - 2008)
Cose interessanti e/o curiose trovate in giro
Medici e fake news: l’immagine della famiglia simbolo del Rinascimento da secoli è afflitta da cliché e “leggende nere”. Per far chiarezza la fondazione Medici Archive Project ha organizzato un convegno a Firenze: “The invention of the Medici”. Ne parleremo ancora.
Napoleone e l’FBI: un collegamento folle? No, se si legge la biografia di Charles-Joseph Bonaparte scritta in Francia da Daniel de Montplaisir per Perrin. Discendente dell’Imperatore, nato negli Stati Uniti, ministro della Giustizia Usa, nel 1908 diede vita al primo embrione della futura FBI.
Il “Mito” della Conferenza di Jalta. Ottant’anni fa, in Crimea, Stalin, Roosevelt e Churchill, sul punto di vincere la Seconda guerra mondiale, si spartirono il mondo? Forse no, come spiega Jean Sevilla sul nuovo numero di Figaro Histoire (spoiler: si parlò di molte cose ma non esattamente di “sfere di influenza”).
Come gli Stati Uniti sono diventati gli Usa? Anche violando sistematicamente le leggi del mare. Lo racconta Jack Truesdale in un bell’articolo pubblicato dal mensile americano “The Atlantic”.
Casa Galilei: ultimi ritocchi a Padova per palazzo Casale Pinelli, in via del Santo, dove visse, a fine Cinquecento, Galileo. Sarà un condominio e per vendere gli appartamenti si conta sul famoso ex inquilino della casa che, grazie all’AI, è incaricato di accogliere visitatori e acquirenti.
Revisionismo per la First Lady. La moglie di Lincoln, Mary Todd Lincoln, fu criticata per le spese pazze, per lo scarso autocontrollo, per la famiglia schiavista (tre fratellastri erano con i sudisti). Finì in manicomio anni dopo la morte del marito. Ora, come racconta il sito della BBC, negli Usa ben due nuove opere teatrali su di lei, provano a riabilitarla.
Servizi segreti in mostra. Apre il prossimo 5 aprile MI5: Official Secrets la prima mostra dedicata alla storia dei servizi segreti interni britannici organizzata dallo stesso MI5 con gli Archivi nazionali di Kew. Oltre a fornire gran parte del materiale sui suoi 155 anni di storia, l’MI5 dà così anche un esempio di apertura ai colleghi degli altri paesi
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