Test #0/3 - "Si vis pacem, para bellum": quando gli Usa immaginavano la guerra contro Londra
Questa volta si parla di guerre progettate ma non fatte. Negli anni Trenta, sotto l'amministrazione Hoover, a Washington si lavorò al "War Plan Red", un piano per invadere il Canada. Ricorda niente?
Benvenuti a “È la Storia Bellezza”, la newsletter settimanale che prova (rigorosamente senza l’aiuto dell’Intelligenza Artificiale) a guardare al rapporto tra attualità e Storia, offrendo notizie e riflessioni prese dalla stampa di tutto il mondo. Il tema di questa terza newsletter di prova è un curioso piano di guerra degli Stati Uniti che, a inizio anni Trenta, avevano studiato di attaccare la Gran Bretagna invadendo per prima cosa il Canada. Una storia che torna d’attualità alla luce delle ultime sortite del neo presidente statunitense Donald Trump a proposito dell’idea di fare del Canada il 51° stato dell’Unione… Buona lettura
Nel 1930 gli Stati Uniti erano in una situazione drammatica: pochi mesi prima la crisi finanziaria del Venerdì nero di Wall Street aveva aperto le porte alla “Grande Depressione”. Un dramma economico e sociale che segnerà le sorti dell’amministrazione Hoover: Herbert Hoover, 31° presidente statunitense, repubblicano (e questo, come vedremo, non è un dettaglio da poco) aveva quindi più di un diavolo per capello. Ma, crisi o non crisi, l’attenzione doveva andare anche oltre i confini, politici e geopolitici, degli Usa che erano già una potenza imperiale. Ecco perché gli uomini del presidente continuavano a lavorare, ognuno nel suo campo, come se la fame e la miseria di milioni di americani non li riguardassero più di tanto. Ad esempio c’era il Segretario alla Guerra, Patrick J. Hurley, il cui Dipartimento, in attesa che qualche guerra scoppiasse sul serio, si preparava ad ogni scenario. Anche quelli che, in apparenza, potevano sembrare poco probabili. Come, ad esempio, l’ipotesi di una guerra con l’Impero britannico. Nasce così - e non per caso - la storia del “War Plan Red”.
Una storia curiosa e istruttiva riportata alla luce pochi giorni fa da Jonny Wilkes per “History Extra”, il sito di BBC History Magazine. E’ risaputo che, in tempo di pace, gli stati maggiori di tutti gli eserciti preparano piani di guerra per ogni eventualità: ma il “War Plan Red” non era solo una delle tante variabili elaborate dai militari USA. Per ogni possibile crisi c’era un colore corrispondente: il “piano verde” riguardava l’ eventualità di una guerra con il Messico; il “piano marrone” una possibile rivolta nelle Filippine controllate dagli USA; il “piano giallo” era per la Cina mentre quello arancione il Giappone. Il “piano bianco” si concentrava sulla incandescente situazione interna negli USA. C’era poi il piano che ci interessa, il “piano rosso” appunto. Anzi, i “piani rossi” perché l’Impero britannico era talmente vasto che poteva essere attaccato in una o più delle sue provincie (o colonie): così c’era il piano “ruby red” (rosso rubino) che si riferiva all’India, il piano “Scarlet” (rosso scarlatto) era per l’Australia, quello “Garnet” (il rosso scuro, bruno-rossastro) per la Nuova Zelanda mentre il “Crimson” (rosso luminoso e chiaro) riguardava il Canada. E quest’ultimo era il piano maggiormente curato poiché quello canadese era considerato il principale teatro di guerra in caso di scontro tra Washington e Londra.
Vecchi e nuovi metodi: tasse e dazi…
Non sono sicuro che Donald Trump abbia mia sentito parlare del “War Plan Red”. Ma non è neanche da escludere visto che i suoi riferimenti politici e ideali convergono sulla politica e gli uomini di Stato Usa tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX. Nel suo discorso di insediamento ha citato con ammirazione il presidente William McKinley, in carica tra il 1897 e il 1901 (il suo secondo mandato non andò oltre le prime battute perché fu assassinato da un anarchico il 6 settembre 1901 a Buffalo). La presidenza McKinley è, secondo gli storici, il punto di partenza del cosiddetto “Fourth Party System” cioè il lungo dominio del Partito repubblicano sulla politica statunitense con la sola parentesi della presidenza di Thomas Woodrow Wilson tra il 1913 e il 1921. Come ha osservato su “Time” Marc-William Palen, il richiamo ad un uso aggressivo dei dazi doganali da parte di Trump ha precedenti lontani, addirittura a quando i repubblicani alla fine del XIX secolo volevano annettere il Canada, che all'epoca era ancora una colonia britannica. La spinta a far diventare il Canada parte degli Stati Uniti raggiunse il culmine dopo l'approvazione nel 1890 della cosiddetta “tariffa McKinley”, cioè l’aumento delle aliquote tariffarie medie a circa il 50%. Il provvedimento era stato ispirato e propugnato proprio dal membro del Congresso William McKinley, cioè il futuro presidente.
Per fare pressione sul Canada affinché si unisse agli USA, la “tariffa McKinley” rifiutò esplicitamente di fare un'eccezione per i prodotti canadesi. I repubblicani, un po’ ingenuamente, speravano che i canadesi, che stavano diventando sempre più dipendenti dal mercato statunitense, sarebbero stati indotti ad unirsi agli Stati Uniti per evitare le tariffe punitive. Invece le cose andarono esattamente in senso opposto in quanto i nazionalisti canadesi sostennero che la tariffa era "un duro colpo inferto sia alle nostre industrie nazionali che alla prosperità e all'indipendenza del Dominion del Canada: un'aggressione non provocata, un tentativo di conquista tramite guerra fiscale". E così, come ricorda Palen, «invece di costringere i canadesi a cercare l'annessione, la tariffa suscitò "amore per la regina, la bandiera e il paese", secondo George T. Denison, presidente della British Empire League in Canada. La maggior parte dei canadesi vedeva la tariffa McKinley come parte di "una cospirazione" per "tradire questo paese e farlo annettere". Non ne volevano sapere. I loro legami culturali e politici con l'Impero britannico, così come la loro rabbia per il tentativo di coercizione, si dimostrarono più forti». Non basta: anche sul fronte interno statunitense la “tariffa McKinley” trovò molte opposizioni: in primis nei democratici che riuscirono, temporaneamente, a moderarla nel 1894 ma soprattutto negli ambienti dell'alta borghesia perché, sembra incredibile ma è così, i dazi avevano effetti anche sull’importazione di abiti di lusso per le signore. Che non la presero per niente bene e così i loro ricchi e influenti mariti… Infatti era stata prevista una tassa del 60% sulla seta grezza, sui prodotti in seta ma anche su velluti, pizzi e ricami, tutti prodotti che non avevano negli Usa una industria solida e bisognosa di protezione. Da qui l’idea di una misura “punitiva” per il ricco mercato interno la cui opulenza e influenza possono essere intuita anche solo guardando la serie tv “The Gilded Age”…
Vecchie e nuove ruggini: fagioli e maiali…
Ma la lunga storia di odio-amore tra Stati Uniti e Canada era iniziata ben prima della “tariffa McKinley” ed è continuata ben dopo. Come ha ricordato Jonny Wilkes «il Canada, in quanto colonia dell'impero britannico, e gli Stati Uniti furono nemici nella guerra d'indipendenza americana e nella guerra del 1812. Il resto del XIX secolo vide una serie di piccole dispute di confine, che minacciarono di trasformarsi in un conflitto totale. La guerra dei fagioli del 1838-39 iniziò quando i boscaioli del New Brunswick a nord e del Maine a sud litigarono su quali alberi potevano tagliare. Prendendo il nome dal pasto preferito dai boscaioli, la situazione degenerò fino a quando le milizie di entrambe le parti si mobilitarono al confine e il Congresso degli Stati Uniti autorizzò una forza di 50 mila soldati per risolvere la questione. Poi ci fu la Guerra del maiale del 1859, che vide i due eserciti e diverse navi da guerra radunarsi dopo che un maiale canadese fu colpito dopo essere entrato in un giardino americano nelle isole di San Juan sulla costa occidentale. Fortunatamente il contrammiraglio britannico Robert L Baynes non prese provvedimenti, dichiarando che non avrebbe iniziato un conflitto "per una lite su un maiale". Finì senza spargimento di sangue, fatta eccezione per il maiale».
Le tensioni negli anni Venti
Come è noto nella fase finale della Prima guerra mondiale gli Stati Uniti scesero in campo contro gli Imperi centrali mentre il Canada era già coinvolto in quanto membro dell’Impero inglese, in guerra fin dal 1914. La Guerra d’Indipendenza (1775-1783) che aveva visto la nascita degli Stati Uniti proprio in contrapposizione con gli inglesi poteva sembrare molto lontana, ormai acqua passata. Tuttavia nel primo dopoguerra le tensioni tra le due sponde dell’Oceano Atlantico si erano riproposte in quanto si trattava di due superpotenze “marittime”. Infatti, poiché la Germania era stata eliminata come potenza navale, Gran Bretagna e Stati Uniti si ritrovarono da soli a essere le superpotenze mondiali dei mari, il che fece aumentare il rischio di una qualche frizione soprattutto, ma non solo, nell'Atlantico e che avrebbe potuto degenerare in uno scontro più serio.
Gli amanti delle “sfumature” avevano notato, ad esempio, che il vice capo di stato maggiore della marina britannica, il vice ammiraglio Sir Osmond Brock, a proposito di una eventuale guerra tra Gran Bretagna e Stati Uniti, all’inizio degli anni Venti aveva definito la possibilità come "molto improbabile", senza però arrivare a dichiararla "impossibile". «Lo scenario più probabile che avrebbe potuto portare a uno scontro navale - scrive ancora Wilkes - si sarebbe potuto concretizzare se la Gran Bretagna fosse entrata in guerra con un altro paese mentre gli Stati Uniti continuavano a commerciare con esso. Gli inglesi avrebbero cercato di fermare qualsiasi nave ritenuta diretta verso il nemico, ma se fossero state navi americane, possibilmente con una scorta armata, si sarebbe rischiato di provocare e di scatenare ostilità. Inoltre, l'enorme debito di guerra che la Gran Bretagna aveva nei confronti degli Stati Uniti aveva alimentato crescenti frustrazioni da entrambe le parti».
Io invado te o tu attacchi me?
Che un problema ci potesse essere era tanto evidente che, sebbene Londra non avesse una strategia ufficiale (almeno per quanto se ne sa a tutt’oggi) per una eventuale guerra contro gli Stati Uniti, i canadesi invece commissionarono un loro piano segreto per un'invasione degli Stati Uniti ben 10 anni prima del “War Plan Red”. Si trattava del “Defence Scheme No. 1”, preparato dal direttore canadese delle operazioni militari e dell'intelligence, l'eroe di guerra James 'Buster' Brown. Il piano di invasione canadese prevedeva attacchi di sorpresa lungo tutto il confine e l’occupazione di importanti città come Seattle, Spokane e Portland a ovest; di Great Falls, Fargo e Minneapolis al centro; e di Detroit, Niagara e Albany a est. Scopo dell'invasione era quello di cogliere di sorpresa gli americani e prendere il controllo di alcune infrastrutture nel nord degli Stati Uniti, prima di attendere i rinforzi britannici. Il punto debole del piano era che tutto si basava proprio sull'arrivo tempestivo degli inglesi in aiuto del Canada, cosa di cui però non c'era alcuna garanzia. Senza contare le difficoltà di coprire velocemente enormi distanze via mare.
Come avrebbe funzionato il War Plan Red?
Tutto sommato, il “War Plan Red” era più concreto e più attuabile anche perché non proponeva un attacco diretto alla Gran Bretagna né un confronto con la sua temibile Royal Navy ma una “semplice” invasione del Canada. Gli USA avrebbero rafforzato il Nord America come fortezza difensiva e, bloccando e occupando tutti i porti, avrebbero impedito alla Gran Bretagna di mettere piede sul continente. Cruciale per il successo del “War Plan Red” sarebbe stata la conquista del porto di Halifax, in Nuova Scozia, una base strategicamente vitale per le navi britanniche. Questo obiettivo era così importante che il piano propose persino l'uso di gas velenosi per proteggerlo. Anche le centrali idroelettriche delle Cascate del Niagara dovevano essere prese in modo da poter disattivare la rete elettrica canadese. Contemporaneamente, attacchi alle città di Montreal, Quebec City, Toronto, Winnipeg e Vancouver avrebbero garantito agli statunitensi il controllo dei centri industriali e delle ferrovie canadesi. Da questa posizione di forza, gli americani pensavano di poter di costringere gli inglesi a un rapido accordo di pace. A conferma della serietà del progetto, durante gli anni Trenta, i vertici militari Usa aggiornarono più volte il “War Plan Red”, arrivando a individuare percorsi specifici per ogni reparto mobilitato e organizzando simulazioni e addestramenti che arrivarono a coinvolgere 36 mila soldati. Insomma, tutto era pronto fino a quando, l’avvento di Hitler e lo scoppio della Seconda guerra mondiale spinsero, soprattutto dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbour nel dicembre 1941, Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada a combattere nuovamente dalla stessa parte. Sembrava tutto finito. Però solo fino a qualche settimana fa, quando gli Usa hanno eletto presidente Donald Trump…
Una frase
«Non dobbiamo staccarci dal nostro passato. Non lasciamo che esso ci sia strappato dall’anima. Questo è il contenuto della nostra identità di oggi».
Papa Giovanni Paolo II (1920 - 2005)
Cose interessanti e/o curiose trovate in giro
I bronzi del Benin tornano a casa: Il ministro olandese della Cultura ha annunciato il «rimpatrio» di oltre 100 bronzi del Regno del Benin, presi dagli inglesi nel 1897 e poi rivenduti anche al Wereldmuseum di Rotterdam.
Podcast scandalosi: Darryl Cooper, il provocatorio autore del podcast (e della newsletter con decine di migliaia di abbonati) “Martyr Made” ha annunciato con un trailer la nuova serie di Storia dedicata alla Seconda guerra mondiale vista dai tedeschi. Polemiche garantite.
Storie di casa: il canale tv ungherese TV2 ha annunciato per l’8 marzo 2025 la messa in onda di una serie in 10 puntate ambientata nell'Ungheria del XV secolo e incentrata sul condottiero Giovanni Hunyadi e le sue guerre contro gli Ottomani.
“Vecchie mura”: il quotidiano cinese “Global Times” rivela che alcuni ritrovamenti recenti nello Shandong orientale datano l’inizio della costruzione della Grande Muraglia alla tarda dinastia Zhou occidentale (1046 a.C.-771 a.C.) e quindi ad almeno 300 anni prima di quanto ritenuto fino ad oggi.
L’assedio di Malta? Da rivedere: il racconto dell’epico scontro del 1565 tra Cavalieri di Malta e ottomani (sconfitti nonostante l’enorme superiorità) sarebbe stato un tantino esagerato sostiene Marcus Bull nel suo “The Great Siege of Malta” (pp. 352, Allen Lane ed.). Molte le cose da rivedere per Bull, a cominciare dai veri rapporti di forza in campo.
Serial Killer in mostra: arriva a Parigi (dopo Roma e Londra) “Serial Killer the exibition”, una raccolta di oltre mille oggetti e documenti che riguardano la vita e i misfatti dei maggiori serial killer della storia. La mostra ha un’anima tutta italiana perché realizzata da Italmostre.
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