Tutte le possibili morti dell'Imperatore. Che non è mai morto davvero...
La fine di Napoleone è un classico del dibattito storico. E anche in questo caso, sempre più gli storici devono fare i conti con la concorrenza di medici e scienziati...
Benvenuti a “È la Storia Bellezza”, la newsletter settimanale che osserva (rigorosamente senza l’aiuto dell’Intelligenza Artificiale) il rapporto tra attualità e Storia, offrendo notizie e riflessioni prese dalla stampa di tutto il mondo. Da questa settimana, al posto di “Storia & Notizie” ogni sabato mattina riceverete (se volete) questa nuova newsletter che offrirà uno o più approfondimenti per lo più ispirati dalla stampa internazionale. A seguire anche qualche notizia in breve. Ma forse, in futuro, un’uscita al mese potrà essere costituita tutta da notizie e segnalazioni di libri di storia italiani e stranieri. I vostri commenti saranno importantissimi così come il vostro aiuto a far conoscere ad amici ed appassionati di Storia questa newsletter che cerca di essere diversa da tutte le altre. In basso trovate i bottoni da cliccare per fare l’una o l’altra cosa. O tutte e due… “È la Storia Bellezza” è la prima tappa di un progetto più ampio che ho esposto in un articolo sul sito “Storia In Rete” e che man mano comunicherò anche attraverso la newsletter settimanale.
Questa settimana vi propongo un articolo sulle ultime “novità” sulla morte di Napoleone (incluso qualche retroscena che spiega il riemergere periodico di certe analisi) e a seguire una curiosa riflessione sulle complicazioni storiche che potrebbero sorgere qualora si mettesse veramente mano al progetto di dar vita ad un “esercito europeo”. Buona lettura e a sabato prossimo.
L’intreccio tra Scienza e Storia è sempre più fitto. È frequente che qualche novità sul passato arrivi non da un documento, da una testimonianza o da un ritrovamento archeologico ma dall’analisi scientifica di elementi già acquisiti ma non sufficientemente approfonditi. Poi su quale branca della scienza fare leva di volta in volta c’è solo l’imbarazzo della scelta. Ma è indubbio che le cosiddette scienze forensi siano tra le più “sollecitate” e questo comporta che sempre più spesso il campo degli storici sia “invaso” da medici, esperti vari e scienziati. Questi studi spesso hanno una buona eco sui media, specie se si riferiscono ad un personaggio o ad un fatto importante, mentre non di rado stentano a trovare attenzione tra gli storici. Ecco perché mi ha colpito che alcuni giorni fa il serioso sito della Fondation Napoléon abbia dato spazio e risalto alla tesi del dottor Alain Goldcher, un medico di lungo corso col pallino - chi l’avrebbe mai detto?… - di Napoleone Bonaparte. In breve, Goldcher è convinto che l’Imperatore morto a Sant’Elena non solo non fu avvelenato ma anche che non soffrisse del tanto citato cancro allo stomaco. E allora come è morto Napoleone a 51 anni, il 5 maggio 1821? Parliamo ovviamente della morte fisica perché, come dimostra anche la storia che stiamo per raccontare, per altri versi Napoleone non solo non è mai morto ma il suo mito gode di ottima salute da ogni punto di vista.
Secondo Goldcher, l’imperatore dei francesi sarebbe morto per un «… dissanguamento progressivo dovuto a gastrorragia o gastrite con ripetute emorragie dello stomaco. Questa ipotesi spiega tutte le osservazioni riportate da tutti i testimoni, sia a livello clinico che necrologico. Clinicamente, Napoleone presentava tutti i segni di un’anemia cronica, che si aggravava progressivamente: pallore, stanchezza fisica e poi intellettuale, complicazioni infettive, perdita di coscienza, allucinazioni...». Goldcherm, che si dedica a questo argomento da molti anni e ci ha scritto su anche un libro, ovviamente può solo basarsi, oltre che sull’autopsia condotta sulla salma dal medico personale dell’Imperatore, Francesco Carlo Antonmarchi, coadiuvato da alcuni medici inglesi, anche sulle testimonianze dell’entourage di Napoleone, sia prima del decesso che durante l’autopsia alla quale assistettero vari cortigiani. Questi ultimi, in particolare, avrebbero notato varie lesioni che fanno pensare ad altrettante ulcere.
Eppure i medici, all’epoca, parlarono di “cancro” in continuità anche con quanto dichiarato spesso dallo stesso Napoleone, negli ultimi tempi, quando si diceva convinto di soffrire dello stesso male che riteneva avesse ucciso suo padre, un cancro appunto. Ma si sbagliavano tutti, sostiene Goldcher: sbagliò Napoleone perché aveva frainteso un passaggio del referto autoptico del padre; e si ingannarono quei medici che nel 1815 non avevano le conoscenze necessarie per capire davvero cosa fosse accaduto: Antommarchi ha scritto di "un'ulcera cancerosa molto estesa" mentre i medici britannici parlarono di "una massa di malattia cancerosa o parti scirrose in via di trasformazione in cancro" o di "una massa di ulcere cancerose o scirro (una massa anomala di cellule che può degenerare o indicare un cancro, NdR) che si trasforma rapidamente in cancro". «In realtà - osserva Goldcher - i chirurghi non hanno potuto descrivere le lesioni della mucosa gastrica perché non erano in grado, date le loro conoscenze, di descrivere la vera malattia che costò la vita a Napoleone. Di fronte all'ignoto, utilizzarono espressioni insoliti, con termini medici più o meno compatibili». Oltretutto, insiste Golcher «le espressioni "in via di sviluppo verso il cancro" o "in rapida progressione verso il cancro" suggeriscono uno stadio piuttosto precoce del cancro (se esiste) e quindi incompatibile con la morte. Soltanto il cancro avanzato, nella cosiddetta fase terminale, rimane compatibile con la morte». Del resto, osserva ancora il medico francese «dal punto di vista clinico, l'eccesso di peso di Napoleone il giorno della sua morte non è un fenomeno che si riscontra in questo tipo di cancro, nemmeno ai nostri giorni, quando può essere curato con trattamenti efficaci».
Fin qui la medicina. Ma la pubblicazione dell’articolo di Golcher sul sito della Fondation Napoléon suggerisce anche altre considerazioni. Coerentemente con la linea istituzionale che questa istituzione molto dinamica e prestigiosa ha assunto, le tesi di Golcher hanno anche un valore “politico” perché utili a confutare le mai sopite teorie che avvolgono di mistero non solo la fine di Napoleone ma anche le vicende delle sue spoglie, inizialmente sepolte in una radura a Sant’Elena e poi trasportate con tutti gli onori, nel 1840, in Francia. Fu proprio in occasione della traslazione della salma dell’Imperatore che nacquero molti degli interrogativi che ancora oggi sostengono tesi che fanno inorridire gli accademici e affascinano invece il grande pubblico. Alcune importanti anomalie emerse alla riapertura della bara nel 1840 (operazione necessaria per trasferire i resti dell’Imperatore in un triplo sarcofago prima del suo ultimo viaggio verso Parigi) non hanno ancora trovato una spiegazione logica, né separatamente né nel loro complesso. Avvelenato o no (e per il no propenderebbe anche un’indagine scientifica interuniversitaria italiana del 2008), perché gli stivali di Napoleone risultavano rotti? Perché le decorazioni non erano dove erano state messe al momento della prima inumazione? E non solo le decorazioni si erano spostate ma anche i vasi in cui erano state conservate le viscere asportate durante l’autopsia. Perché il corpo era in condizioni quasi perfette dopo molti anni sottoterra in un’isola tropicale? Come spiegare la straordinaria crescita di di capelli e barba nonostante la cura con la quale era stato ricomposto dopo la morte? Perché il corpo risultava avere le gambe piegate quasi fosse stato messo in una bara troppo corta cosa da escludersi al momento della sepoltura visto che il cadavere era perfettamente disteso, come dissero i testimoni? E si potrebbe continuare ancora. Chi fosse curioso può vedere gli articoli che abbiamo dedicato a questo argomento nello Speciale su Napoleone pubblicato da “Storia In Rete” nel 2021.
La tesi scandalosa, avanzata già a metà del secolo scorso dallo scrittore francese George Rétif de la Bretonne, è che ci sia stata una sostituzione di cadavere e che quindi, quello riesumato nel 1840 non fosse il corpo del vero Napoleone ma di un altra persona. Perché? Qui il ventaglio delle ipotesi si allarga: perché il vero Napoleone era riuscito a scappare da Sant’Elena? Oppure perché la tomba dell’Imperatore era stata violata negli anni e gli inglesi, dovendo restituire una salma, si erano arrangiati in qualche modo? O magari, variante della variante, perché il corpo di Napoleone era stato trasferito segretamente in Gran Bretagna per volere di re Giorgio IV, un sovrano notoriamente instabile, per usare un eufemismo. Era quest’ultimo il convincimento, ad esempio, di Rétif de la Bretonne che scrisse anche un libro dal titolo emblematico: “Inglesi, restituiteci Napoleone”. Una variante napoleonica del “mito della sopravvivenza” che in ogni epoca (inclusa la nostra: da Jim Morrin ed Elvis, da Majorana a Hitler ecc. ecc.) avvolge i personaggi storici più carismatici. Nel tempo, il testimone di Rétif de la Bretonne è stato raccolto da uno storico non accademico ma molto battagliero: Bruno Roy-Henry, tra l’altro anche biografo del famoso poliziotto di inizio Ottocento Vidocq. Il libro di Roy-Henry, a inizio millennio, ha avuto una certa eco anche fuori dalla Francia anche perché rilanciava una provocazione di Rétif de la Bretonne: perché non aprire la tomba di Napoleone (che, tra l’altro, curiosamente non porta alcuna iscrizione…) e fare tutti gli esami necessari per definire una volta per tutte identità dei resti e cause di morte? Una tesi che non è dispiaciuta a Franck Ferrand, forse il più noto divulgatore storico francese, autore e conduttore di varie trasmissioni in radio e televisione. Da qui l’allarme della Fondation Napoléon che è “corsa ai ripari” pubblicando un documento di tre sole pagine nel quale confuta la teoria, riducendola al rango di ipotesi complottista.
Correva il 2012. Da allora le varie ipotesi sulla morte di Napoleone hanno continuato a girare, complice il web. Ma niente di nuovo è emerso perché la prova regina, qualunque possa essere, può emergere solo in un caso ma la riapertura della tomba a Les Invalides è da escludere. Però, visto che i dubbi faticano a farsi da parte, ogni tanto ribadire certe cose non è un male, anche se non sembra che negli ultimi tempi qualcosa o qualcuno abbia ripreso la questione. Eppure ecco il rilancio del lavoro di Goldcher nei giorni scorsi. Evidentemente un antidoto anticomplottista sempre utile. Repetita iuvant.
Un’impresa impossibile? L’esercito europeo
Si fa un gran parlare, in questi giorni, di spese militari e di esercito europeo. Questa newsletter non ha voglia né competenze per entrare nel merito di disquisizioni ora strategiche, ora geopolitiche, ora economico-industriali. Il nostro compito è quello di legare la Storia con l’attualità e, su questo fronte, uno spunto arriva da un curioso articolo scritto dallo storico inglese Robert Tombs sul The Daily Telegraph del 29 gennaio scorso. Un articolo che è anche un appello ai vertici della Royal Navy come si evince già dal titolo: “La marina francese ha molte navi dedicate a uomini che hanno combattuto contro di noi. Non ribattezziamo l’HMS Agincourt”. Spiegazione: sembra che qualcuno, ai piani alti del governo inglese o degli alti comandi militari, abbia deciso di cambiare nome ad un sommergibile. E allora, diremmo noi? Beh, potremmo aggiungere che il sottomarino è della classe Astute, cioè sottomarini d’attacco nucleari di ultima generazione, e inoltre parliamo di un battello che è l’ultimo dei sette previsti dal programma d’acquisto. Ma anche così non basta a chiarirsi le idee. Forse andrà meglio se vediamo i nomi scelti per questi sette sommergibili, in ordine di messa in linea: “Astute”, “Ambush”, “Artful”, “Audacious”, “Anson”, “Agamennon” e “Agincourt”. Sei nomi generici (“Astuto”, “Agguato”, “Audace”, “Agamennone” …) e uno, l’ultimo, che corrisponde ad una località geografica, per l’esattezza un minuscolo borgo francese (attualmente con solo 300 abitanti) nella Francia settentrionale, nel dipartimento del Passo di Calais.
Ed ecco che arriva la domanda giusta: “Perché mai la Royal Navy dovrebbe chiamare un sommergibile nucleare col nome di un paesino francese?”. Forse per rievocare una celebre vittoria inglese sui francesi? Non c’è altra spiegazione anche se quella vittoria è abbastanza remota visto che risale al 25 ottobre 1415 (no, non è un errore: proprio 25 ottobre 1415) e rappresenta uno dei momenti chiave della “Guerra dei Cent’anni”. In questi ultimi 610 anni il ricordo di Agincourt non ha però smesso di inorgoglire gli inglesi e torturare l’ego non meno ipertrofico dei francesi. Una rivalità di secoli non può essere cancellata dalla retorica europeista: non dimentichiamo che ancora all’inizio degli anni Sessanta - si racconta - nel preparare le disposizioni per il proprio funerale, l’ex premier inglese Winston Churchill volle che il corteo funebre passasse per il ponte di Waterloo perché contava sul fatto che tra i presenti ci sarebbe stato il presidente francese Charles De Gaulle col quale aveva a lungo battagliato (politicamente parlando) ai tempi della Seconda guerra mondiale nonostante i due fossero dalla stessa parte della barricata.
Avendo tutto questo ben presente, da storico rinomato quale è, Tombs ha ricordato ai vertici politici e militari inglesi che certi scrupoli sono superflui: il nome “Agincourt” può restare tranquillamente anche perché i francesi non si sono mai preoccupati di urtare la sensibilità britannica in fatto di rovesci militari: «I francesi non sono così mansueti - ha scritto Tombs - Dopo tutto, le gloriose tradizioni della loro marina si basano soprattutto sulle sue battaglie contro la perfida Albione. Almeno sei delle sue principali navi da guerra oggi portano i nomi di uomini che hanno combattuto contro di noi, e a volte hanno combattuto sporco». Segue una lezioncina di storia marinara, e non solo, che val la pena di riprendere: «La fregata Surcouf prende il nome da Robert Surcouf, un mercante di schiavi di grande successo (ops!) e corsaro che fece fortuna attaccando le navi mercantili britanniche. Il sottomarino Duguay-Trouin rende omaggio a René Trouin, Signore di Gué, un altro corsaro e occasionale mercante di schiavi che predò con successo navi mercantili inglesi e scozzesi e catturò diverse navi da guerra della Royal Navy, per le quali ottenne un titolo nobiliare e divenne ammiraglio. Il sottomarino Suffren rende omaggio a Pierre André de Suffren de Saint Tropez (la marina francese, con la sua tradizione notoriamente aristocratica, ha molti eroi con nomi splendidi). Ha combattuto gli inglesi fino alla cattura nell'Oceano Indiano. La fregata La Fayette prende il nome dal famoso Marie-Joseph Gilbert du Motier, marchese de La Fayette, che aiutò gli americani a ribellarsi nel 1776. Il sottomarino Tourville commemora Anne-Hilarion de Cotentin, conte di Tourville, che inflisse una grave sconfitta a Beachy Head nel 1690, quando catturò o affondò sette navi. Il cacciatorpediniere Forbin ricorda Claude, conte di Forbin-Gardanne, che affondò o catturò molte navi britanniche. La fregata Chevalier Paul rende omaggio a Jean-Paul de Saumeur, le cui numerose imprese includono l'affondamento di una nave britannica che non aveva salutato la bandiera francese (quasi tutto l'equipaggio annegò). Fino al suo recente ritiro, il sottomarino Casabianca commemorava Luc-Julien-Joseph Casabianca, un politico della Rivoluzione francese e in seguito ufficiale di marina sotto Napoleone, ucciso dalla flotta di Nelson nella Battaglia del Nilo a causa dell’esplosione della sua nave. Considerato l'orgoglio dimostrato da "la Royale" nella sua gloriosa storia per aver criticato gli inglesi e di essere stata criticata a sua volta, sarei sorpreso se si fosse arrabbiata per il fatto che abbiamo chiamato un sottomarino Agincourt. Dopotutto, abbiamo già l'HMS Iron Duke». Altra spiegazione: il “Duca di ferro” era il soprannome del Duca di Wellington, il generale inglese che - un po’ fortunosamente, va detto… - sconfisse Napoleone a Waterloo il 18 giugno 1815.
Fin qui Tombs che, volutamente e con grazia, ha solo sfiorato la questione principale e cioè che con la sua lunghissima e travagliata storia l’Europa vive ancora di ricordi, glorie, frustrazioni, paure e sensi di superiorità incrociati. Il discorso che fa Tombs lungo la direttrice Gran Bretagna-Francia potrebbe valere per quasi tutti, se non tutti, i 27 paesi membri dell’Unione Europea. Intrecci più profondi di quanto possa sembrare - o piacere - ai profeti dell’Europeismo che, nella sua declinazione corrente, ha forse puntato troppo sull’economia per provare ad archiviare - ammesso che sia possibile e accettabile - non solo le divisioni ma anche le semplici diversità storiche e culturali del passato. Senza guardare troppo lontano, e restando in campo militare e marittimo, che considerazioni dovrebbero fare i nostri vertici politici o della Marina militare spulciando l’elenco delle nostre navi da guerra? Per non urtare soprattutto gli inglesi dovremmo ribattezzare almeno una dozzina di vascelli a cominciare da quelli che portano i nomi di due eroi dell’Impresa di Alessandria: Luigi Durand de la Penne e Antonio Marceglia. In ambito Nato i turchi dovrebbero storcere la bocca per le navi da guerra italiane dedicate ad Andrea Doria e a Francesco Morosini, Gli austriaci e gli ungheresi non dovrebbero gradire la costante presenza in linea della Luigi Rizzo, l’eroe che affondò due corazzate austro-ungariche tra il dicembre 1917 e il giugno 1918, e della Paolo Thaon di Revel, che rimanda all’uomo che guidò la Regia Marina durante la Prima guerra mondiale.
Quando scemeranno le discussioni sul budget di bilancio militare degli stati europei e bisognerà iniziare a guardare a come integrare concretamente le varie forze armate, si dovrà, piaccia o no, fare i conti pure con problemi di questo tipo. Anche quando si pensa di poterla ignorare, la Storia finisce sempre con avere l’ultima parola…
Una frase
«Se nessuno avesse mai avuto la follia di uscire dal gregge, l'umanità avrebbe fatto ben pochi passi in avanti».
(Albert Einstein)
Cose interessanti e/o curiose trovate in giro
Bugie di Stato: è uscito in Francia il film “La Fabrique du Mensonge”, una produzione tedesco-slovacca, diretto da Joachim A. Lang. Il film parla degli ultimi sette anni del Terzo Reich, dal 1938 al 1945, visti attraverso il legame tra Hitler e il suo ministro della Propaganda, Joseph Goebbels, visto come uno dei principali artefici del potere nazista. Il titolo originale tedesco è “Führer und Verführer” cioé “Il Führer e il seduttore”.
Mostra Furismo, bilancio incerto: un flop? No. Un successo? Neanche. Il sito “Finestre sull’Arte” commenta il prolungamento della mostra romana sul Futurismo osservando che i dati ufficiali (103.593 visitatori in tre mesi scarsi) sarebbero viziati dall’assenza di bigliettazione separata per una mostra allestita in un museo importante come la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea.
Usa, nessuno vuole “Il figlio del secolo”: il regista inglese Joe Wright, ha lamentato che la sua serie tv “M. Il figlio del secolo”, ispirata ai romanzi di Scurati su Mussolini non trovi acquirenti tra le piattaforme di streaming americane. Per Wright l’impronta “antifascista” dell’opera avrebbe penalizzato la serie dopo l’affermazione elettorale di Donald Trump.
Vite irripetibili: Anna Folli ha scritto una biografia ad Aristotele Onassis, il magnate, armatore, avventuriero greco che ha occupato per anni le pagine economiche e di costume della stampa internazionale. Il libro si intitola “Prendersi tutto” (Neri Pozza). Di sicuro dentro c’è quasi tutto di una vita, drammatica e splendente, da romanzo.
La bomba di David: basandosi su documenti recentemente declassificati, Avner Cohen e William Burr hanno scritto un lungo articolo per Foreign Policy per raccontare come, durante gli anni '60, Israele costruì la sua prima bomba atomica. Lo fece in un segreto quasi assoluto, ingannando sulle sue attività e sui suoi obiettivi persino il governo degli Stati Uniti.
Ecco chi era - forse - Jack lo Squartatore: l’uomo che terrorizzò la Londra Vittoriana di fine ‘800 era un immigrato polacco arrivato in Inghilterra nel 1881. Si chiamava Aaron Kosminski, faceva il barbiere e morì in manicomio nel 1919 senza essere mai stato scoperto. Ora però il dna presente su alcuni indumenti di una delle sue vittime potrebbe aiutare a mettere la parola “fine” sul giallo.
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