Capovolgimenti storici: conquistadores o libertadores?
Uno storico argentino va all'attacco della "Leggenda Nera", stravolgendo la classica interpretazione della "Conquista" spagnola del Sud America. Possiamo definire Cortés e Pizarro dei "liberatori"?
Ancora una volta: buon sabato e grazie di esserci a tutti i lettori di “È la Storia Bellezza”, la newsletter che unisce presente e passato attraverso notizie di cronaca e aggiornamenti su quanto si muove nel mondo della ricerca storica. In questa puntata, la puntata # 15, facciamo due passi in Sud America per provare a vedere da una angolazione diversa uno degli snodi chiave della Storia del Mondo: la “Conquista” spagnola dell’America centrale e meridionale. Una fonte inesauribile di leggende e polemiche che, di secolo in secolo, sono giunte fino ad oggi con ricadute economiche e politiche, soprattutto a livello internazionale.
Per questa volta NON VI CHIEDO di aiutarmi a diffondere questa newsletter o di partecipare al solito piccolo sondaggio che dovrebbe aiutarmi a conoscervi meglio. NON VI CHIEDO neanche di commentare o mettere un “mi piace” a fine articolo. Questa volta va così. Ma non garantisco per le prossime settimane. Per ora, solo grazie. Adesso iniziamo …
Vabbé che non si può pubblicare o tradurre tutto ma che nessun editore italiano abbia ancora degnato di un minimo d’attenzione i libri di Marcelo Gullo Omodeo è grave. Se non altro perché si vendono bene e perché fanno discutere, e parecchio. E’ vero che l’Italia non è la Spagna dove Madre Patria, il primo libro della trilogia che Omodeo ha dedicato alla Conquista spagnola delle Americhe, è arrivato alla 16ma ristampa in meno di due anni ma comunque le tesi che l’hanno imposto all’attenzione “pesano” anche da noi. Pesano perché incidono profondamente su uno dei capisaldi della Storia votata al “politicamente corretto” e cioè la conquista spagnola dell’America, la “Leggenda Nera” per antonomasia, diventata uno dei principali capi d’accusa all’Occidente cristiano da parte del revisionismo storico terzomondista. Una “Leggenda” nera che influisce anche sulle relazioni internazionali visto che, per fare solo un esempio per quanto clamoroso, meno di un anno fa la nuova presidentessa del Messico, Claudia Sheinbaum, ha innescato una crisi diplomatica con la Spagna rifiutando l’invito alla cerimonia per il suo insediamento a Re Felipe VI, reo ai suoi occhi di non essersi ancora “scusato” ufficialmente per la “Conquista” di Cortés e Pizarro di cinquecento anni fa.
Omodeo, argentino ma con tutti e quattro i nonni italiani, smonta pezzo per pezzo, libro dopo libro, tutto l’impianto accusatorio che ha messo sul banco degli imputati la Spagna dei Re Cattolici e poi dell’imperatore Carlo V, suo figlio Filippo II e discendenti vari, tutti colpevoli di “genocidio” per aver promosso la scoperta dell’America e poi la sua colonizzazione con relativo sterminio di popolazioni locali, la loro conversione forzata e la riduzione in schiavitù. Accuse che vanno ridimensionate drasticamente, secondo Omodeo che non è storico di professione ma docente universitario esperto di relazioni internazionali e studi strategici con studi fatti tra Sud America, Svizzera e Francia. Al tema della conquista spagnola dell’America, Omodeo ha dedicato una trilogia: Madre Patria (2021), Non c’è nulla di cui scusarsi (2022) e Quello che l’America deve alla Spagna (2023). Libri di Storia ma non solo perché a Gullo Omodeo, studioso di relazioni e politica internazionale, non sfugge come una interpretazione storica vecchia di secoli torni utile, anche oggi, sia a chi – come vari leader latino americani - porta avanti una politica “terzomondista” e anti occidentale ma anche, paradossalmente, a quanti hanno interesse a fomentare le divisioni nel continente sud americano per mantenerlo in uno stato di debolezza e sudditanza: «I leader che difendono l’indigenismo – dice Omodeo - quegli Evo Morales o Pedro Castillo (che peraltro hanno nomi spagnoli) si definiscono antimperialisti ma sono la manodopera più a buon mercato dell’imperialismo monetario internazionale. Al giorno d’oggi è il capitale finanziario internazionale il soggetto più interessato a difendere e perpetuare la “Leggenda nera”: è l’attore principale della politica internazionale e vuole che esistano Stati piccoli e deboli da dominare».
Ma, lasciando da parte le analisi geopolitiche, è interessante vedere come Omodeo argomenta in campo strettamente storico, attingendo ad una grande varietà di fonti, sia cinquecentesche che di storici molto più vicini a noi che, a sorpresa, hanno assunto nel tempo posizione affini alle sue. Quindi niente di nuovo sotto il sole, ma averlo riorganizzato e attualizzato è comunque merito non da poco. Di fatto, Omodeo opera un rovesciamento radicale di prospettiva, negando legittimità al “vittimismo” che si è impossessato delle nazioni sudamericane le quali, in gran parte, hanno ormai trasformato la ricorrenza del 12 ottobre (giorno della “scoperta dell’America” da parte di Cristoforo Colombo) in un’occasione di esaltazione “indigenista” del passato precolombiano in contrapposizione alla conquista spagnola e portoghese del continente. Come ha ricordato Giorgio Ballario tempo fa sul sito Barbadillo: «La festa del 12 ottobre in molti Paesi latinoamericani ha assunto denominazioni diverse, in alcuni casi con effetti a dir poco bizzarri: in Argentina è diventato “Dìa del Respeto a la divisiòn cultural”, in Ecuador “Dìa de la Interculturalidad y Plurinacionalidad”, in Nicaragua e Venezuela “Dìa de la Resistencia indigena”, in Uruguay “Dìa de la Diversidad cultural”, in Perù “Dìa de los Pueblos originarios y del dialogo intercultural”. Si distinguono poi il Cile, che per ora ha una definizione cronachistica e politicamente neutra (“Dìa del Descubrimiento de los dos mundos”) e la Bolivia, dove l’accanimento indigenista ha partorito un involontariamente comico “Dìa de la Descolonizaciòn”. Cioè il giorno della scoperta dell’America e dell’inizio della colonizzazione spagnola, a La Paz è diventato il giorno della Decolonizzazione: misteri del linguaggio politicamente corretto».
Omodeo invece sostiene che «non c’è stata alcuna invasione spagnola dell’America ma una liberazione. È falso il primo postulato dei sostenitori della leggenda nera, secondo cui l’America era un paradiso dove gli uomini vivevano nudi, mangiando manghi e facendo l’amore liberamente. Gli indiani non mangiavano mango e non facevano l’amore liberamente, si mangiavano a vicenda. La libertà era una nozione sconosciuta in società di caste estremamente codificate e la condizione della donna era quella di oggetto sessuale…». Non basta, Omodeo – considerato il livello delle società precolombiane – si è convinto che Hernán Cortés più che conquistare il Messico lo liberò visto che erano numerosissimi i popoli indigeni sottomessi al crudele imperialismo antropofago degli aztechi. Parallelamente, il non meno brutale e oppressivo imperialismo Inca non fu rovesciato da Francisco Pizarro e dai pochi spagnoli che erano con lui ma bensì dalle popolazioni indigene – su tutti huaylas e huancas – che non vedevano l’ora di liberarsi dall’odiato oppressore. Quello che seguì, con violenze, malattie e stragi (che Omodeo non nega ma contestualizza) fu l’avvio di una sostanziale fase di progresso sociale che portò al mescolamento delle razze favorito dal fatto che, a differenza di altre nazioni colonizzatrici, specie quelle anglosassoni e protestanti, gli spagnoli in Sud America non nutrirono sentimenti di pretesa superiorità razziale nei confronti dei nativi. Ma la “Leggenda Nera” – almeno fino ad oggi - si è rivelata più forte di qualsiasi considerazione storico-documentale incluse quelle, numerose e fondate, di molti storici, sociologi ed etnologi marxisti (fino al primo Che Guevara…) convinti difensori dell'operato della Spagna in America e ai quali Omodeo, non a caso, ricorre spesso.
Che l’immagine “predatoria” e “genocida” della conquista spagnola vada rivista l’aveva già capito, oltre novant’anni fa, lo storico messicano José Vasconcelos (che fu anche ministro dell’Educazione pubblica negli anni Venti) nella sua Breve historia del Mexico del 1937 dove, senza negare le iniquità che accompagnarono la conquista, si riconosce la spinta civilizzatrice che arrivò dallo sbarco degli spagnoli: «Una volta soltanto nella storia umana, lo spirito ha soffiato per ispirare delle conquiste che invece di assoggettare hanno liberato». Omodeo, intervistato dalla rivista francese Figaro Histoire, ha sottolineato un altro passaggio di Vasconcelos, secondo il quale «prima dell'arrivo degli spagnoli il Messico non esisteva come nazione ma come una moltitudine di tribù separate da fiumi e montagne oltre che dal profondo abisso dei loro 300 dialetti (…). La Spagna non distrusse nulla perché non c'era nulla che fosse degno di essere conservato quando arrivò su queste terre, a meno che non si consideri sacra quell’erba cattiva per l’anima che sono il cannibalismo dei caraibici, i sacrifici umani degli aztechi e il dispotismo brutale degli inca».
Cannibalismo, sacrifici umani e dominio brutale: questi i tre fattori che decisero la fine repentina degli imperi degli atzechi e degli inca perché spinsero le popolazioni locali a spalleggiare in massa (si stimano tra i 90 mila e i 300 mila guerrieri scesi in campo contro gli atzechi) gli spagnoli appena sbarcati. Le fonti, su questo punto, sono secondo Omodeo chiare e inequivocabili. Gli aztechi, come gli inca, opprimevano gli altri popoli esigendo, nel caso degli aztechi, anche un tributo umano per i sacrifici e per mangiarli. Alla fine degli anni Settanta, l’antropologo Marvin Harris, riprendendo anche studi precedenti, ha scritto che il nutrimento principale della nobiltà mexica era rappresentato da esseri umani: «Nei loro codici – ricorda Omodeo - gli aztechi si vantavano di aver immolato fino a 80.400 vittime per l'inaugurazione del Templo Major di Tenochtitlán (l’attuale Città del Messico) nel 1487. Un grande ammiratore della civiltà azteca, lo storico William Prescott valutò, nel 1843, il numero delle vittime dei sacrifici rituali atzechi in circa 20 mila per anno, ma stimò in circa 70 mila le vittime in occasione della consacrazione del tempio di Huitzilopochtli, il dio della guerra e del sole e protettore della città di Tenochtitlán. Dimensioni drammatiche confermate dallo storico belga, Michel Graulich, scomparso una decina di anni fa e autore di studi specifici proprio sui sacrifici umani di massa nella cultura atzeca: Graulich ha stimato che ogni giorno venivano sacrificate 72 persone ma, in occasione di grandi ricorrenze, si poteva arrivare a 20 mila persone: «I sacrifici umani esistevano presso anche altri popoli – conclude Omodeo - ma nessuno ne ha fatto una politica di Stato come gli aztechi».
Il solo luogo dove l'antropofagia era proibita era l'impero Inca, che si stendeva dall'equatore al Cile e che aveva per capitale Cuzco, nell’attuale Perù. Anche gli Inca però erano spietati con le popolazioni sottomesse: lavori forzati, controllo sulla vita privata, repressione feroce della dissidenza politica, schiavitù sistematica per i nemici sconfitti. Agli Inca toccò in sorta di dover fare i conti con Francisco Pizarro e i suoi pochi soldati spagnoli (meno di 200): secondo Omodeo, Pizarro era meno colto e meno rispettoso delle popolazioni locali di Cortés ma fu comunque in grado di riunire circa 30 mila guerrieri di varie popolazioni locali e oppresse dagli Inca per decenni.
Questi e molti altri sono i “dettagli” che la “Leggenda Nera” trascura per il semplice fatto che la sua fonte principale – il frate domenicano Bartolomeo de Las Casas, spagnolo di Siviglia - non ne parla. Per Omodeo «Las Casas ha esagerato tutti i mali che furono commessi, ha dato cifre scioccanti, inventando l'idea di un genocidio che sarebbe stato fatto in quarant'anni causando tra i 12 e i 15 milioni di morti. Per massacrare 15 milioni di “indiani” bisognava ucciderne almeno 1000 al giorno. Ma le sue accuse non sono mai state precise. Chi avrebbe perpetrato i massacri? Dove? Quando? Mistero, era un prete, ma faceva soprattutto politica, scriveva pamphlet…». Altri testimoni hanno apertamente messo in discussione la sua versione dei fatti, come il francescano Toribio de Benevente, che si prese il rischio di scrivere una lettera all'imperatore Carlo V nel 1555 denunciando Las Casas sia dal punto di vista della vita sacerdotale (non celebrava mai la messa, non confessava, non dava mai i sacramenti) che dal punto di vista della credibilità dei suoi racconti per l'esagerazione sistematica dei fatti e degli errori degli spagnoli. Sicuramente lontana dalla perfezione, la “Conquista” portò comunque progresso alle popolazioni locali. Di questo Omodeo è convinto e, per dimostrarlo, si concentra su meticciato, legislazione sociale e deformazioni storiografiche che hanno, come vedremo tra poco, una chiara origine politica.
Cominciamo col “meticciato”: tutti i “conquistadores”, a cominciare da Cortés e Pizarro si sposarono con donne locali ed ebbero vari figli, tutti riconosciuti (a differenza dei presidente Usa Washington o Jefferson). Gli spagnoli estesero agli indigeni gran parte dei diritti e dei privilegi degli europei: su mandato reale furono aperte prestigiose scuole e università eccellenti, come la Universidad Mayor de San Marcos, fondata 85 anni prima di Harvard, dove si studiavano le lingue e le culture degli indigeni, e, soprattutto, avviarono la costruzione, già all’inizio del Cinquecento, di ospedali che erano tra i migliori del mondo, spesso superiori a quelli europei. Qui, tutti gli ammalati venivano curati senza alcuna differenza di classe o di razza. Per quanto possibile esisteva un controllo incrociato sulla gestione della cosa pubblica sia attraverso la sorveglianza di missionari o di ispettori mandati dalla Spagna che sulla verifica dei patrimoni, ad esempio, dei vari viceré. Fin dai primi anni dopo il 1500 vennero promulgate varie leggi per la tutela degli indigeni e, in meno di 50 anni, divennero quasi mille. Il risultato, stando a varie testimonianze e studi storici che Omodeo riprende e cita con pignoleria è che, ad esempio, «mentre ancora nel 1750 in Inghilterra i bambini di 8 anni lavoravano 15 ore al giorno nelle miniere, nell'America spagnola nel sedicesimo secolo le leggi delle Indie vietavano di far lavorare i bambini e le donne incinta, limitavano il lavoro quotidiano a 8 ore e non sotto il sole. Certe, queste leggi non erano sempre applicate, ovunque ci sono stati degli abusi significativi, tuttavia, soprattutto per il lavoro degli indiani nelle miniere. Ma è anche vero che, quando l’esploratore e naturalista tedesco Alexander von Humbolt arriva in nell'America spagnola nel 1803 vede che i minatori sono meglio pagati che in Russia, Germania e Inghilterra. E che, secondo lui, la popolazione vive meglio in Messico che a Parigi».
Ma non c’erano solo le miniere: nelle campagne l’arrivo degli spagnoli portò all’esperimento delle “encomienda”, cioè comunità di indigeni inquadrati in un rigido sistema sociale e lavorativo sotto il controllo di uno o più responsabili spagnoli che dovevano occuparsi anche della istruzione e della “cristianizzazione” dei nativi. Che quindi, in cambio di “vitto-alloggio-istruzione-catechismo”, venivano di fatto retribuiti poco e sfruttati molto. Le encomienda vennero istituite, sottolinea Omodeo, su terreni non coltivati in precedenze e che in genere non appartenevano alle aristocrazie locali, le cui proprietà soprattutto Cortés tendeva a garantire. Tuttavia, visto l’alto tasso di abusi, l’esperimento ha dato molti argomenti ai critici della “Conquista”. Ma anche su questo Omodeo ha qualcosa da dire: «Il lavoro era accompagnato da una formazione e da una alfabetizzazione completa, molto sovente in tre lingue diverse: latino, spagnolo e lingua locale. Evidentemente ci furono degli abusi. Alcuni autori, come Fermin Chavez, riferirono che l’encomienda costituiva di fatto un campo di lavoro forzato a vantaggio dei colonizzatori. Ma infatti, a partire dal 1527, per evitare gli abusi la Corona limitò il numero di indiani che potevano essere in affidati a un singolo encomendero. Altri, al contrario, pensano che senza l’encomienda che li obbligava a vivere e a lavorare insieme, il grande salto qualitativo culturale che si è prodotto nel corso del tempo sarebbe stato impossibile. Infatti, col tempo gli stessi indiani divennero poi medici, artigiani, notabili, preti…». Con l’avvento delle repubbliche e quindi dell’indipendenza dalla Spagna – e siamo ormai a metà Ottocento – il fenomeno delle encomienda terminò e, visto che le repubbliche erano animate da elites liberali e laiciste, la “Leggenda Nera” si arricchì di un nuovo capitolo…
Già, ma Las Casas a parte, la “Leggenda Nera” come ha fatto a imporsi secolo dopo secolo un po’ ovunque? La spiegazione di Omodeo è forse la cosa più interessante di tutta la sua ricerca perché mette a nudo un lunghissimo processo culturale, politico e mediatico che mostra (caso non certo unico) come alcune opinioni storiche, anche poco fondate, possano comunque godere di una indiscussa fortuna, secolo dopo secolo. Nel caso della “Leggenda Nera” il percorso parte da Las Cases ma poi segue un suo percorso autonomo e tortuoso. Sicuramente, giocò un ruolo la decimazione delle popolazioni locali per i virus arrivati insieme ai conquistadores: soprattutto vaiolo, morbillo e sifilide. Fu sicuramente una strage ma, come ha osservato lo storico Esteban Mira Caballos nel 2020, è difficile valutare il numero dei morti su una popolazione di cui le stime oscillavano tra gli 8 e i 112 milioni… Le tante morti per malattia finirono, già agli occhi dei contemporanei, per essere imputate alla “Conquista” che, già nel Cinquecento godette di pessima stampa a cominciare, pare, dall’Italia. Poi, ovviamente, in chiave anticattolica se ne impossessarono Lutero e i protestanti che erano un po’ ovunque. In Francia, ad esempio, tra il 1580 e il 1600 vennero pubblicati almeno 500 pamphlet contro la Spagna. Madrid non era ben vista neanche in Inghilterra, all’epoca sua rivale principale sotto il regno di Elisabetta I. Ma le cose non cambiarono, almeno in questo, neanche durante la parentesi repubblicana di Cromwell. E così anche nei Paesi Bassi, dove la casa di Orange era in rotta con gli Asburgo di Spagna. Curioso come, in tutte queste situazioni diverse, il cattolico Las Casas sia la principale fonte dei critici della “Conquista”.
Non meno curioso è anche il fatto che, mentre nel mondo la “Leggenda Nera” spopolava, nel centro e sud America le popolazioni rimanevano in gran parte fedeli alla Spagna. Ricorda Omodeo che «le masse indigene del Perù, della Colombia, del Venezuela, dell'Ecuador e del Cile si opposero all'indipendenza ancora a metà Ottocento quando Simon Bolivar intraprese la sua campagna di liberazione e indipendenza di parte del continente sudamericano. Ma se gli indiani erano tutti fedeli alla corona, com'è che, con l’indipendenza, poi si sono trasformati in indigenisti e antispagnoli? Secondo Omodeo si tratta di un processo che nasce a sinistra ma solo nel Novecento. Infatti, inizialmente la sinistra non era indigenista «perché considerava, in definitiva, la conquista dell'America un'avanzata della storia dell’umanità. Era quello che pensavano Marx ed Engels, ma nel 1929 Stalin ordinò di riunire i partiti comunisti dell'America del Sud a Buenos Aires e decise di “adottare” la Leggenda Nera, di creare delle repubbliche indigene e di destabilizzare gli Stati Uniti balcanizzando l'America del Sud». Questa rilettura della storia si è rapidamente imposta nelle università, largamente schierate col marxismo, ma non ancora nell'opinione pubblica. Il “salto” è avvenuto solo dopo la caduta del muro di Berlino (novembre 1989): in occasione delle riunioni preparatorie per il forum di San Paolo (luglio 1990) furono riprese le idee del Congresso comunista del 1929 e si decise che le masse indigene dovevano diventare il nuovo proletariato, cioè il nuovo soggetto storico da mettere all'avanguardia.
«Il paradosso – conclude amaramente Omodeo - è che girando la schiena alla religione cattolica e alla lingua spagnola che davano unità al continente, e ripudiando ogni modello alternativo alla mondializzazione disumanizzante, i sudamericani di questi ultimi trent’anni, di fatto, hanno servito gli interessi di quell'imperialismo americano». Proprio quell’imperialismo che odiano e che ha sostituito, nei loro rancori, il ricordo della “Conquista” spagnola. Con le sue ombre e le sue luci.
Una frase
«In ogni caso, di tanto in tanto, è salutare mettere un punto di domanda a questioni che da tempo si danno per scontate».
Bertrand Russell, filosofo inglese (1872 - 1970)
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