Che si fa se il “cattivo” non è “abbastanza cattivo” per i nostri standard?
Un libro ridimensiona il numero delle esecuzioni decise da Franco dopo la guerra civile spagnola. Sono state comunque moltissime. Ma i custodi della "Memoria democratica" storcono la bocca lo stesso
Eccoci arrivati alla puntata #8 di “È la Storia Bellezza” la newsletter settimanale dedicata alla Storia e alle sue continue incursioni nel Presente. Questa settima abbiamo superato i 3.500 iscritti ma non possiamo fermarci ancora a riposare sugli allori. Per crescere c’è bisogno di tutti e il passaparola (inoltrando la newsletter, rilanciandola sui social, invitando amici e possibili lettori ad iscriversi) resta la cosa più efficace. Fatemi anche sapere che pensate di questo appuntamento fisso del sabato mattina: osservazioni, critiche e suggerimenti su possibili temi da affrontare in futuro saranno preziosissimi.
Dopo essere stati negli Stati Uniti, in Francia e aver fatto un passaggio veloce, la scorsa settimana, sul Lago di Como, oggi torniamo all’estero per “andare” in Spagna perché anche lì, tanto per cambiare, il “Passato non vuol passare”: la Guerra civile finita ormai 86 anni fa divide ancora…
Buona lettura e a sabato prossimo.
Il tema che ho scelto questa settimana è solo in apparenza storico. In realtà la vicenda che stiamo per raccontare riguarda soprattutto i meccanismi intellettuali e culturali che sembrano dominare la cultura occidentale. Approcci intellettuali sempre più lontani dai canoni della logica essendo stati spodestati da riflessi automatici che richiamano più i famosi “cani di Pavlov” che l’insegnamento di Aristotele o Cartesio. E questo perché la valutazione morale o politica ormai non segue più l’analisi dei dati ma la precede o, quando va bene, la accompagna. Una inversione che ormai non permette più un dibattito equilibrato, distaccato, almeno sulla pura e semplice disamina dei fatti, premessa necessaria alla formazione di qualunque giudizio ponderato. Va da sé che me ne occupo qui perché questa deriva del raziocinio investe anche il campo di indagine che questa newsletter si è scelta: quello dell’incidenza della Storia sul nostro presente.
Tutto nasce dall’annuncio – sull’ultimo numero di Figaro Histoire – della pubblicazione in Francia di un libro spagnolo: «La represión de la posguerra: Penas de muerte por hechos cometidos durante la Guerra Civil» (Editorial Actas, pp. 664, € 36,00). Un discreto “mattoncino” che è costato all’autore, il giornalista e saggista Miguel Platón, sei anni di lavoro negli archivi militari spagnoli. Il libro è uscito nell’ottobre 2023 in Spagna e ci ha messo poco più di un anno per sbarcare in Francia dove l’editore L’Artilleur l’ha titolato «La Répression dans l’Espagne de Franco (1939-1975), de la propaganda mémorie à la réalité historique». E’ stata questa l’occasione per venire a conoscenza di un dibattito che altrimenti sarebbe rimasto circoscritto alla Spagna, anche per la cronica e non sempre innocente distrazione del nostro giornalismo. Il tema e la tesi del lavoro di Platón non hanno aiutato: quanto possa essere stata urticante la lettura delle oltre 600 pagine del libro lo dimostra il silenzio assordante con il quale la stampa “progressista” spagnola lo ha accolto. Con una sola eccezione, decisamente fuori misura, come vedremo.
Per chi non ha già intuito qualcosa dai titoli in spagnolo e francese ecco la comunque necessaria spiegazione: Platón ha osato l’indicibile e cioè ha “ridotto” drasticamente il numero di condanne a morte inflitte dal regime di Francisco Franco al termine della terribile guerra civile spagnola. Il che non vuol dire che il dopoguerra degli spagnoli sia stato la classica “passeggiata di salute”: tutt’altro. Lo stesso Platón ricorda, ad esempio, la sdegnata protesta del cardinale Vicente Enrique Y Tarancón che qualche tempo dopo la fine della guerra denunciò le condizioni «francamente inumane» riservate dal governo franchista ai prigionieri repubblicani. E del resto il fatto che nel giro di pochi anni siano state “giustiziate” tra le 14 e le 15 mila persone dovrebbe dare l’idea del clima che regnò in Spagna dalla primavera 1939, quando cioè finì la guerra civile. Il problema nasce dal fatto che, fino a quando Platón non ha messo – primo in assoluto – mano agli archivi, le cifre che giravano erano ben altre: addirittura 150/200 mila morti antifranchisti, 50 mila dei quali giustiziati dopo essere stati giudicati da tribunali militari. Ma da dove arrivavano queste stime? «Tutto cominciò – spiega Platón - con un libro di un giornalista americano, pubblicato nel 1948. Non si basava su alcuna fonte attendibile ma cominciò ad avere un certa influenza. Negli anni successivi, diversi autori lo hanno ripreso senza alcuna verifica. In effetti, per alcuni, quanto più elevato era il numero delle vittime attribuibili a Franco e al suo regime, tanto più giustificata era la loro opposizione alla dittatura spagnola».
Platón, saputo casualmente che nel 2010 nell’Archivio militare generale di Guadalajara erano stati ritrovati i fascicoli relativi alle condanne a morte emesse dal Cuerpo Jurídico Militar (Corpo giudiziario militare), ha studiato ogni singolo dossier che, dal 1939 in poi, venne inviato a Francisco Franco affinché decidesse, caso per caso, sulla commutazione della pena di morte o sulla sua esecuzione. Il risultato di questo lavoro certosino è che oggi sappiamo che il numero effettivo delle esecuzioni effettivamente eseguite è stato leggermente inferiore a 15 mila a fronte di circa 30 mila sentenze capitali pronunciate dai tribunali. Pignolo fino in fondo, Platón osserva che il 51,4% delle condanne a morte venne commutato in pene detentive, oltretutto spesso ridotte drasticamente. Una persona graziata veniva comunque condannata all’ergastolo, il che voleva dire di fatto a trent’anni di carcere. Poi però, in genere, la liberazione avveniva dopo sei anni. Questo anche in base ad una disposizione di Franco del 25 gennaio 1940 che riduceva considerevolmente le condanne emesse dal luglio 1936: «Alcuni ex condannati a morte hanno scontato meno di cinque anni, o addirittura meno di quattro anni» chiosa Platón.
Ad ogni modo, come ben sappiamo anche in Italia, le guerre civili (inclusa la loro “coda”) sono dei drammi assoluti. Le cifre, per quanto riguarda la Spagna, parlano da sole: in combattimento, tra il luglio 1936 e il primo aprile 1939 morirono 80 mila “repubblicani” e 70 mila “nazionali”. Contestualmente ci fu una mattanza che coinvolse civili e prigionieri delle due fazioni: 45/50 mila vittime per i nazionalisti (e qui vanno inclusi i 6733 sacerdoti e suore assassinati sistematicamente nei loro conventi) e altre 50/55 mila per i repubblicani. A questo triste conteggio vanno aggiunti i caduti stranieri accorsi a sostenere gli opposti fronti. E poi le vittime “casuali” che ogni guerra pretende: «Il numero totale delle vittime della guerra civile è stato esagerato – sostiene Platón – Il cliché del milione di morti, titolo di un romanzo bestseller in Spagna negli anni Sessanta, è completamente falso. Il bilancio effettivo delle vittime è inferiore a 400 mila, dovute a tutte le cause: combattimenti, repressione e malattie». In quei 400 mila morti ci sono anche i 15 mila circa condannati a morte a guerra finita. Perché per loro non ci fu clemenza? Anche per questo quesito Platón ha una risposta: «Bisogna fare una distinzione tra condanne ed esecuzioni. Le persone giustiziate erano per lo più autori materiali o diretti responsabili di crimini di sangue: omicidi, torture, stupri e furti. Quasi tutti coloro che non avevano queste accuse a loro carico hanno avuto la pena commutata, sia che fossero autorità, comandanti militari, oppure commissari politici, membri di partiti di sinistra, disertori, ecc. Gli atti di guerra non erano considerati crimini di sangue».
Al di là delle cifre, comunque drammatiche (anche perché da inserire in un contesto come quello spagnolo dove la popolazione era nettamente inferiore a quella italiana e dove si era combattuta una spietata guerra civile durata quasi tre anni), è interessante vedere come si arrivava alle condanne e alle grazie. Caso decisamente anomalo per un regime dittatoriale, prima di finire sulla scrivania del Caudillo, il fascicolo di ogni singolo imputato aveva passato ben quattro livelli di giudizio, non sempre sfavorevoli per principio e che potevano richiedere complessivamente tra i sei mesi e l’anno: «La corte marziale era composta da cinque militari. Anche il pubblico ministero e l’avvocato difensore erano militari. In più di cento casi, la Corte stessa o alcuni dei suoi membri hanno raccomandato la commutazione della pena di morte immediatamente. E così, d'ufficio, senza bisogno di appello, la sentenza veniva segnalata al revisore dei conti della regione militare, cioè a un ufficiale militare con formazione giuridica. Il suo parere poteva essere favorevole o sfavorevole alla commutazione. La questione veniva poi trasmessa al Capitano Generale della Regione che, nella maggior parte dei casi, si dimostrava più benevolo. In pratica, poche settimane dopo la pronuncia della sentenza, metà dei condannati aveva già una proposta di commutazione della pena. Negli altri casi, il fascicolo veniva trasmesso a una commissione di tre revisori del Servizio di consulenza e giustizia del Ministero delle Forze armate che esaminava i fascicoli uno per uno e redigeva un resoconto che poteva essere favorevole o sfavorevole. Solo a questo punto il fascicolo veniva inoltrato a Franco, il quale approvava quasi sempre i criteri dei revisori, i quali dovevano giustificare e firmare la loro raccomandazione. Franco modificò solo 26 raccomandazioni: 10 a favore dell’esecuzione e 16 a favore della commutazione».
Platón non ha certo l’obbiettivo di difendere o esaltare il regime di Franco - «In ogni caso, e qualunque sia la situazione, la cifra di 15 mila esecuzioni mi sembra spaventosa» - ma trova più interessante sottolineare quanto emerge dai documenti e cioè la persistenza di uno “spirito” che unì gli spagnoli anche in tempi di devastanti separazioni: «Franco aveva forti convinzioni cattoliche ed è chiaro che voleva limitare la repressione». Il che aiuta a contestualizzare il comportamento delle autorità franchiste: «La guerra civile fu terribile sotto molti aspetti, ma è anche commovente vedere, in migliaia di casi, l’atteggiamento radicale di riconciliazione e pacificazione che, già a partire dal luglio 1936, unì la maggioranza dei cittadini. Nel dopoguerra migliaia di nuovi sindaci, falangisti ed ecclesiastici chiesero clemenza per i condannati a morte e la ottennero il più delle volte. La reazione della maggior parte della società è stata quella di superare questa Spagna dell'odio e di tornare alla convivenza. Il novanta per cento degli spagnoli non voleva una guerra civile, quindi la riconciliazione iniziò contemporaneamente alla guerra. Dal luglio 1936, le persone a sinistra proteggevano quelle a destra e le persone a destra proteggevano quelle a sinistra: genitori, amici, vicini, colleghi di lavoro... La società era molto più avanti delle forze politiche…».
Il libro di Platón a qualcuno non è piaciuto. Niente di strano per una Spagna che si è spaccata sui libri di Pio Moa sulla Guerra Civile, che ha trasferito d’imperio le spoglie di Franco dalla Valle dos Caidos - di cui progetta pure lo smantellamento –, che ha appena varato una legge sulla “Memoria democratica” che mira a mettere il bavaglio se non a sciogliere tutte le organizzazioni in odore di “filo-franchismo” e che si accinge a celebrare i 50 anni di democrazia in chiave tutt’altro che pacificatrice. Dopo la sua uscita, «La represión de la posguerra» ha avuto varie recensioni positive sulla stampa moderata o di destra mentre sul fronte progressista o di sinistra ha prevalso il silenzio. Rotto, solo in un caso, dal quotidiano El País – che, per capirsi, sta alla Spagna come Repubblica sta all’Italia - che ha affidato la stroncatura del saggio allo storico Gutmaro Gómez Bravo il quale ha accusato Platón addirittura di aver manipolato i dati e di «affrontare la repressione franchista da una prospettiva conservatrice contemporanea. Il suo uso delle fonti è quantomeno deontologicamente discutibile. Non è né rigoroso né aderente al contesto». E via così, con abbondanza di colpi sotto la cintola. Infatti, nel suo attacco Gómez Bravo non esita, pur di sminuire il lavoro di Platón, a ricorrere a forzature di ogni tipo attribuendogli errori e omissioni che nel libro non ci sono. In una lettera di risposta – che la direzione di El País ha rifiutato di pubblicare - Platón ha elencato almeno 13 “falsificazioni” operate da Gómez Bravo nel suo articolo. In particolare, è interessante che insieme a svarioni “minori” (come l’indicazione di una corte marziale operante in una provincia inesistente…) Gómez Bravo ha in qualche modo gettato la maschera quando, dopo aver accusato Platón di falsificare e confondere i dati, ha fatto la stessa cosa mescolando le esecuzioni avvenute durante la guerra (tema estraneo allo studio di Platón) a quelle del dopoguerra, citando a proprio sostegno una “storiografia” che di fatto non esiste poiché, come abbiamo visto, ad una “sparata” iniziale ha fatto seguito una lunga serie di riprese acritiche che non han fatto altro che ripetere e ampliare l’errore iniziale.
I mezzucci alla Gómez Bravo non sono certo una specialità spagnola: vengono usati un po’ ovunque – non solo sul fronte progressista - per sminuire le tesi sgradite. Quello che colpisce in questo caso è casomai la riprova che, specie in alcuni ambiti, la verità fattuale (in questo caso documentale) perde di colpo la sua oggettività se ridimensiona anche solo un po’ un giudizio morale granitico considerato immodificabile. Ma che “certezze” saranno mai quelle che si sentono minacciate, come nel caso del libro di Platón, non da tesi antitetiche ma da una “correzione di rotta”? Una correzione di rotta che oltretutto non va ad inficiare la valutazione complessiva e prevalente del periodo franchista: 15 mila giustiziati – anche se in molti casi con a carico reati particolarmente gravi ed efferati – restano un’enormità e la questione della loro sorte non riguarda comunque altri punti critici di quegli anni di dittatura.
Ma, a ben vedere, forse la questione vera è un’altra e richiama una regola base della strategia, quella che dice che è sempre meglio avere l’iniziativa per costringere l’avversario a difendersi, impedendogli di sviluppare una propria azione d’attacco. In altri termini, politicamente parlando, finché riesco a tenere la controparte sul banco degli imputati e fino a quando l’indice puntato sarà il mio, allora toccherà a me dare le carte e, visto che ci sono, anche le pagelle. Continuare a chiedere abiure e mea culpa agli altri - equivocando sul senso vero della frase “fare i conti con la Storia” - serve ad evitare di doverlo fare a propria volta. Ostacolare ogni approfondimento che renda giustizia alle sfumature e alle contraddizioni della Storia serve a mantenere intatti i dogmi su cui si fondano certe “superiorità morali”. In Spagna come in Italia o in Francia il gioco è sempre lo stesso. In un’ intervista, l’ha detto chiaramente anche Platón: «In un incontro informale, ho sentito l’attuale presidente del governo spagnolo, Pedro Sánchez, affermare che non gli interessa il rigore storico, ma utilizzare il passato per il suo vantaggio politico odierno. Non parlava di un passato qualsiasi, ma del “passato” che presenta la destra attuale come erede dei crimini del franchismo e omette i crimini della sinistra, vale a dire una storia falsa. Il Partito Socialista non ha ancora chiesto scusa per la responsabilità dei suoi leader e attivisti in decine di migliaia di omicidi, torture, stupri e furti…».
I Segreti dei Conclavi di ieri, utili anche oggi
In vista del prossimo Conclave che dovrà eleggere il successore di Papa Francesco, il sito di Storia In Rete ha iniziato a pubblicare a puntare un curioso e interessante documento storico: I segreti dei conclavi. Si tratta del singolare “promemoria” scritto per Luigi XIV re di Francia da uno dei suoi più arguti e fedeli agenti: l’abate Atto Melani. Il documento è stato trovato nella Biblioteca del Senato di Parigi da Rita Monaldi e Francesco Sorti, la celebre coppia di scrittori che ha messo la figura di Atto Melani al centro di una serie di romanzi iniziata nel 2002 con Imprimatur, seguito da Secretum, Veritas, Mysterium e Dissimulatio. Finora sono state pubblicate tre puntate:
Come “vincere” un Conclave? Ce lo spiega Atto Melani, spia del Re Sole
“I segreti dei conclavi”: far sempre attenzione alle calunnie. E a non votare il candidato sbagliato
La quarta puntata sarà on line domenica 4 maggio e le ultime due entro mercoledì 8 maggio, il giorno in cui è prevista l’apertura del Conclave.
Storia In Rete in onda su Byoblu
Il canale Byoblu (DT canale 262, TvSat 462 e Sky canale 816) manderà in replica il documentario che ho scritto “Mussolini una morte da riscrivere” (regia di Alessandra Gigante) e che è disponibile anche in dvd oggi pomeriggio, sabato 3 maggio, alle ore 14.00, poi domenica 4 maggio alle ore 22.00 e martedì 6 maggio alle 21,30.
Una frase
«Non si scrive la Storia con spirito di parte: bisogna far sentire entrambe le campane, anche se ce n’è una sola».
John Betjeman, poeta e scrittore inglese (1906-1984)
Cose interessanti e/o curiose trovate in giro
Cosa c’è in quella siringa?: E’ forse il libro più sconcertante degli ultimi tempi questo Secrets of the Killing State di Corinna Barrett Lain (New York University Press) che racconta la genesi della iniezione letale usata in molti stati Usa per le esecuzioni capitali. Nessuno studio scientifico particolare ma solo l’improvvisazione del medico legale dello stato dell'Oklahoma, Jay Chapman che, in poche ore, nel 1971 ha deciso di unire tre sostanze letali senza alcuna considerazione per gli effetti collaterali e sulla reale efficacia. Un’ improvvisazione totale che ha contagiato, per oltre 30 anni, vari altri stati a cominciare dal Texas. Agghiacciante.
Il primo celebrity chef della storia: ancora un’incursione nel Passato per una serie tv. Questa settimana è il turno di «Carême» (Apple Tv+), una serie che trasporta gli spettatori tra ‘700 e ‘800, raccontando della vita di Marie-Antoine Carême (1784-1833) il cuoco di Napoleone.
Il ritorno di Stalin: bel reportage dalla Russia del giornalista del Corriere della Sera, Marco Imarisio che documenta il fenomeno del costante ritorno in auge della figura di Stalin, il dittatore sovietico al potere dal 1922 al 1953. Curiosa la continua crescita di statue staliniane, sotto l’occhio compiacente del Cremlino: dal 2012 ne sono state erette ben 117. Ed è anche possibile che la vecchia Stalingrado, oggi Volgograd, possa riprendere il suo vecchio nome.
Bilanci pubblici in crisi: la medievista francese Catherine Rideau-Kikuchi ha trovato nei giorni scorsi un curioso documento a Bologna. Come spiega l’account X Actuel Moyen Âge, si tratta di una relazione del Comune di Bologna del 1382 in cui si lancia l’allarme per lo stato delle finanze comunali: bisognava tagliare le “spese inutili” senza però toccare i dipendenti. Una necessità: all’epoca quasi un bolognese su quattro era salariato dal Comune.
Titanic, un’asta pazza: un ignoto collezionista ha pagato, lo scorso 26 aprile, ben 399 mila dollari (cioè € 372 mila) una lettera scritta a bordo del Titanic pochi giorni prima del suo affondamento (14 aprile 1912), probabilmente dalla cabina di prima classe del passeggero Archibald Gracie, un ex ufficiale dell’esercito Usa che riuscì a salvarsi.
Nuove uscite di saggi e romanzi: puntuale all’appuntamento quindicinale con le uscite in libreria, il sito Thriller Storici e Dintorni ha appena pubblicato la sua abituale rassegna di novità editoriali. Un mix di saggi e romanzi storici dove è difficile non trovare qualcosa di interessante.
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E' esattamente quello che succede con la narrazione della Storia italiana degli ultimi 110 anni.
Gli "storici" o presunti tali, e in questo i giornalisti sono maestri, si copiano acriticamente fra di loro, ripetendosi o addirittura autocitandosi come fonti. E quando , raramente, sono consultati i documenti originali, questi vengono accuratamente selezionati per sostenere la propria tesi.